Jorit a Young: «Ho vissuto l’orrore del carcere in Israele, per i palestinesi è l’inferno»
YOUNG
17 ottobre 2025

Jorit a Young: «Ho vissuto l’orrore del carcere in Israele, per i palestinesi è l’inferno»

Angela Conte

«Se crei dibattito e fai riflettere le persone, centri l’obiettivo. Un’opera che non fa discutere non serve a nulla». Jorit Agoch, al secolo Ciro Cerullo, sintetizza la sua filosofia ai microfoni di Metropolis Young. Lo street artist, originario di Quarto, che ha appena presentato il murale “Incrociati” disegnato sul muro dell’ex carcere di Gragnano, utilizza l’arte «per smuovere le coscienze», per «mettere i giovani davanti alle tematiche sociali più scottanti».

I suoi murales parlano di identità, diritti e lotte sociali. Il suo impegno si concretizza con la rappresentazione iper-realista dei volti umani che contribuiscono alla lotta per l’uguaglianza e che riescono a toccare l’animo delle persone. Anche Papa Francesco e il bambino palestinese di “Incrociati”, sono segnati dalla scarnificazione. «Un segno di appartenenza alla “Human Tribe”, la tribù umana», per dire che siamo tutti parte della stessa famiglia. «Non esistono barriere e confini che ci dividono, perché apparteniamo tutti alla stessa razza, quella umana». Una razza che, nonostante cerchi di darsi principi di fratellanza tramite istituzioni come la Chiesa, ne ignora l’esempio e continua a farsi la guerra. Nel murale, Bergoglio china la testa e punta lo sguardo verso il basso, «rappresenta l’avvilimento della Chiesa che non riesce a vedere applicati i propri insegnamenti».

L’impotenza sul volto dell’ex pontefice «è il sentimento che accomuna chiunque sia stato testimone delle pagine buie della contemporaneità» Le opere di Jorit nascondono frasi scritte sullo sfondo e poi volutamente coperte con la pittura. In quella di Gragnano ha usato parte del discorso recitato da Charlie Chaplin nel film “Il grande dittatore”. «E’ un mondo per spingere chi guarda ad andare oltre quello che si vede».

I ritratti di Jorit suscitano emozioni, suggeriscono spunti di riflessione, due in particolare ne incarnano pienamente lo spirito. La prima è il ritratto di Ahed Tamimi, attivista palestinese che nel 2017 è stata condannata per aver schiaffeggiato due soldati israeliani. Il suo volto sul muro di separazione costruito da Israele in corrispondenza del confine tra i territori palestinesi e quelli israeliani diventa una provocazione fortissima che costa a Jorit l’arresto e la detenzione in Israele per un giorno intero. «Urla, spinte, mi puntavano il fucile all’addome e toccavano il grilletto per terrorizzarmi. Una potente forma di tortura psicologica», racconta Jorit a Metropolis Young. «Ma vi assicuro che i palestinesi sono trattati molto peggio: vengono torturati fisicamente in maniera orribile».

L’altra opera che ha suscitato scalpore è nata in risposta alla cancellazione (successivamente ritrattata) da parte dell’Università Bicocca di Milano di un corso dedicato a Dostoevskij all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Jorit disegnò lo scrittore sulla facciata di palazzo in periferia di Napoli e fu bollato come sostenitore di Putin. Una narrazione che si rafforzò quando sui social diventò virale una foto che ritraeva Jorit accanto al presidente russo. «Cinquecento anni di colonialismo dicono che l’Occidente ha il brutto vizio di ritenersi il tribunale del mondo», disse. E oggi ribatte: «Non ho mai preso soldi dal Cremlino, e ovviamente sono sempre stato schierato dalla parte della pace».

Le critiche furono feroci, ma l’artista napoletano tirò diritto per la sua strada. Con Dostoevskij le sue  intenzioni erano quelle di mostrare le infide regole della guerra, che arriva a censurare anche la cultura in quella che è un’intricata narrazione di chi è nel giusto e di chi è nel torto. «Sono molto fiero di quell’opera», dice. «Lo farei altre mille volte». Su Putin ripete ciò che ha sempre detto a chi gli ha puntato il dito: «Secondo il mio modo di vedere le cose, quando metti le persone davanti alla necessità di dibattere e confrontarsi hai raggiunto lo scopo vero dell’arte. Questo è il nostro compito».