Poliziotto ucciso a Torre del Greco, l’urlo della moglie: «Chi ha sbagliato, pagherà»
CRONACA
5 novembre 2025

Poliziotto ucciso a Torre del Greco, l’urlo della moglie: «Chi ha sbagliato, pagherà»

Alberto Dortucci

Torre del Greco. Eliana non trema, mentre abbraccia il feretro avvolto nel tricolore. I suoi occhi sono lucidi, ma la voce è ferma: «Chi ha sbagliato, pagherà», sussurra. Accanto a lei, in prima fila, ci sono i tre figli – Sharon, Daniel e Melissa – frutto di un amore sbocciato e cresciuto all’ombra del Vesuvio. È il giorno dell’ultimo saluto al poliziotto Aniello Scarpati – 48 anni, assistente capo coordinatore – morto la notte del primo novembre durante il suo turno di servizio.

La volante su cui pattugliava la città è stata travolta da un Suv lanciato a velocità folle lungo viale Europa, la strada di collegamento tra via Litoranea e via Nazionale nel cuore del quartiere Leopardi. Nella chiesa evangelica Adi di via Fra’ Carafa, a Napoli, non ci sono cori solenni né luci teatrali. C’è un silenzio pieno, spezzato solo dagli applausi all’ingresso del feretro, avvolto nel tricolore. Un gesto spontaneo e vero. Il cappello dell’agente, appoggiato su un cuscino rosso, sembra guardare i colleghi schierati al picchetto d’onore. Molti stringono la mascella, altri abbassano lo sguardo. È il dolore di chi saluta un compagno e, insieme, una parte del proprio coraggio quotidiano. Molti sono arrivati in silenzio, dopo ore di servizio, alcuni direttamente dai presidi montati nelle strade della città dove Aniello Scarpati lavorava da anni.

Un modo semplice, concreto, per dire: «Siamo qui». Il pastore evangelico Raimondo Mennella parla di scelta: «Aniello ha scelto il bene. Ha lasciato un grande esempio di amore e di fede». Ricorda anche i vent’anni di amicizia, la voce che si incrina appena, ma senza indulgere. «Siamo stati trafitti da questa notizia», dice. E nella sala si percepisce un nodo collettivo. Non retorica: vicinanza. Poi prende la parola chi la divisa la comanda. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il capo della polizia Vittorio Pisani siedono tra la gente, accanto a colleghi e amici del quartiere. Il ministro dell’Interno è chiaro: «Ogni volta che una vita si spegne servendo lo Stato, è una ferita collettiva. La legalità ha un costo». Aggiunge che lo Stato sarà vicino alla famiglia «concretezza, non solo presenza».

Una promessa da verificare, nel tempo. All’uscita, il cardinale Domenico Battaglia saluta la famiglia, si ferma qualche secondo in più con i figli, poi si allontana quasi in punta di piedi. La comunità evangelica resta stretta alla famiglia. C’è chi stringe una Bibbia, chi una sciarpa azzurra della Polizia, chi solo un fazzoletto umido tra le dita. Sullo sfondo il vicesindaco Michele Polese, arrivato con il Gonfalone del Comune per portare la vicinanza dell’intera città di Torre del Greco.

Ma è sempre Eliana, alla fine, a dare il senso a tutto: «Chi lo ha ucciso pagherà. E se nostro figlio un giorno vorrà indossare la divisa, sarò orgogliosa. E lo sarà anche suo padre». Ci crede, si vede. È la forza più sconcertante e più difficile da spiegare: la fede nella giustizia anche quando la giustizia ti ha appena tolto tutto. All’uscita, Napoli si ferma ancora. Applausi. Mani sul cuore. Un collega batte la mano sulla carrozzeria del carro funebre, come si fa sulle spalle di un amico: «Stai tranquillo, ci pensiamo noi». Il corteo si allontana piano, lasciando dietro di sé il rumore dei passi e il vento leggero che muove il tricolore sulla bara.

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