Torre del Greco. Doveva essere il giorno di Forza Italia. Il giorno in cui i berluscones di Torre del Greco avrebbero dovuto calare sul tavolo del centrodestra i propri «assi» per la corsa alla poltrona di numero uno di palazzo Baronale. Invece, gli azzurri guidati dalla portavoce locale Cinzia Mirabella si sono resi protagonisti di un grande bluff – il lancio del baby-ingegnere Antonio Trieste e dell’enfant prodige Stefano Abilitato, non certamente due «big» della politica all’ombra del Vesuvio – capace di scatenare malumori e proteste tra gli alleati. «Così non va bene, non vogliamo essere presi in giro: senza proposte serie, possiamo annullare gli incontri», la dura presa di posizione dei pasdaran della coalizione.
La caduta di Mele
La convulsa riunione organizzata all’hotel Poseidon – simile a un ricevimento in grande stile, visto il numero dei partecipanti e la presenza di un ricco buffet – era stata anticipata dall’annuncio a sorpresa di Luigi Mele: «Non sono interessato alla candidatura a sindaco: mi ritiro dalla competizione, ma garantirò il sostegno al centrodestra», le parole dell’ex assessore ai (contestati) lavori pubblici, storico fedelissimo di Ciro Borriello prima del voltafaccia per inseguire la fascia tricolore. Parole dettate dalla «puzza di bruciato» avvertita intorno al proprio nome – sgradito alla maggioranza degli alleati – nonché dalla voglia di provare a mantenere un low profile in attesa di tempi migliori, magari successivamente al voto per le politiche del 4 marzo. Così, non senza imbarazzo, a Cinzia Mirabella è toccato il compito di scoprire le carte di Forza Italia «con la precisazione che siamo disponibili – la spiegazione della portavoce locale degli azzurri – a valutare ulteriori indicazioni, sempre tra i componenti del direttivo cittadino».
L’addio di Quirino
Durante la riunione, poi, si è tirato fuori dalla corsa Salvatore Quirino. L’esponente di Fratelli d’Italia – ex assessore all’ambiente – si è detto disponibile a un passo indietro «per senso di responsabilità, in modo da aiutare il tavolo a trovare la giusta sintesi». Rilanciate, invece, le velleità di Alessandra Tabernacolo: «Ritengo che il criterio per valutare i vari profili non possa non partire dal serbatoio di voti – i concetti espressi da Salvatore Quirino – e la nostra Alessandra Tabernacolo ha già dimostrato i propri numeri, prima alle comunali del 2014 e poi alle regionali del 2015. Fermo restando che, in caso di individuazione di un nome condiviso da tutti, la stessa Alessandra Tabernacolo potrebbe rinunciare alle proprie ambizioni». Insomma, una grande fuga dal tavolo. Dove, insieme agli improbabili nomi lanciati da Forza Italia e alla superstite del partito di Giorgia Meloni, ora restano in tre: il capitano di lungocorso Antonio Spierto – sostenuto da diverse liste civiche – e l’ex vicensindaco Romina Stilo, caldeggiata dall’ex primo cittadino Ciro Borriello e dal «mago delle politiche sociali» Donato Capone.
Lo scontro tra fazioni
Alla luce del grande bluff di Forza Italia, il tavolo – coordinato da Ciro Piccirillo, la scheggia impazzita della passata maggioranza ora «recuperato» alla causa del centrodestra grazie ai buoni uffici del politico-ultrà Pasquale Brancaccio – si è sfaldato: «Non ci nascondiamo dietro un dito, non riusciamo a fare un solo passo avanti: qui siamo rimasti alla lotta tra le due fazioni», la rabbia espressa a chiare lettere da qualche alleato evidentemente infastidito dai «giochetti» dei berluscones. Ovvero: il partito pro-Stilo e il partito anti-Stilo. Esattamente lo scenario di Natale, a conferma della volontà di trascinare la questione-candidature al post-voto del 4 marzo. A gettare acqua sul fuoco è stato Alfonso Ascione, l’ex leader del «vero centrosinistra» ora diventato alfiere del centrodestra: «Dobbiamo superare lo scontro sul nome di Romina Stilo: c’è già stato un chiarimento e ora bisogna guardare avanti – le parole del «pompiere» di Santa Maria la Bruna – Anzi, per evitare confusione, a partire dalla prossima riunione proporrei di prevedere la partecipazione di un solo rappresentante per lista o partito». Una proposta solo parzialmente accolta, perché – alla fine – il compromesso è stato di due rappresentanti per lista o partito. Un’ulteriore conferma che, già all’interno di ciascuno schieramento, nessuno si fida di nessuno.