BOSCOREALE – Per fermare i suoi nemici non avrebbe utilizzato piombo e terrore. Ma carichi di droga piazzati, ad arte, sotto casa dei rivali in affari. Il tutto facendo leva anche sulle presunte amicizie con un manipolo di uomini in divisa accusati di aver tradito lo Stato. E’ uno degli inquietanti retroscena raccontati da Francesco Casillo, il boss del Piano Napoli di Boscoreale, il capo della holding dello spaccio attiva nelle palazzine popolari. Casillo, noto con il soprannome di ‘a vurzella, è stato per un periodo un pentito. Dai suoi racconti, prima del dietrofront e della scelta di interrompere la collaborazione con lo Stato, sono nate diverse inchieste. Una di queste riguarda il presunto patto scellerato tra la camorra e alcuni esponenti delle forze dell’ordine. Carabinieri in servizio alla caserma di Torre Annunziata – fino al 2009 – che sarebbero scesi a patti con il capoclan di Boscoreale, in cambio di regali e mazzette. Uno scenario inquietante, quello ritratto dall’inchiesta messa in piedi dall’ex pm Antimafia, Pierpaolo Filippelli che ha dato vita a un processo che oggi vede imputati diversi esponenti dell’Arma all’epoca dei fatti in servizio all’ombra del Vesuvio. Casillo, oltre a svelare dei presunti accordi per la cattura del killer del tenente Marco Pittoni, il carabiniere-eroe ucciso a Pagani nel 2008 nel tentativo di sventare una rapina all’ufficio postale, ha raccontato anche come avrebbe usato le divise per i suoi scopi personali. Come, ad esempio, i blitz pilotati per incastrare i suoi rivali in affari.
Ciro Formisano
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