Lo dice come se fosse la cosa più normale del mondo, il boss del Piano Napoli, quel groviglio di cemento e degrado che ospita la Scampia del vesuviano a Boscoreale: «Ho dato due milioni e mezzo ai carabinieri». Ed è l’inizio di un racconto che fa venire i brividi. Gomorra si materializza nell’aula Siani del tribunale di Torre Annunziata e le parole di Francesco Casillo squarciano i veli su un mondo marcio che mina la credibilità dello Stato e getta fango sulle divise che ogni giorno combattono in trincea contro il crimine. Le mele marce per fortuna sono la minoranza nel cesto, ma sono abbastanza per far scattare l’allarme, per capire che la realtà è ben oltre la finzione in una terra dove la zona grigia s’allarga a macchia d’olio e vive di rapporti pericolosi costruiti per arrivismo, per sete di potere, in nome di un guadagno facile preferito al sacrificio e al sudore. Qui, nella terra di mezzo che ingoia insospettabili dopo insospettabili, la credibilità scricchiola ogni giorno di più e la cultura dell’illegalità si radicalizza nella mente degli uomini deboli. Due milioni e mezzo di euro sono una montagna di soldi. E fa effetto ascoltare un boss di camorra che tra frasi in dialetto a un italiano arrangiato fa la conta dei beni che avrebbe, a suo dire, condiviso per anni coi carabinieri imputati. Terreni, tre Lamborghini, rolex tempestati di diamanti, gemme preziose. «Avevo conti aperti in concessionaria e gioielleria», ai quali «accedevano anche le divise».
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