Un balcone vista su Napoli. Sullo sfondo il quadro dei due magistrati simbolo della lotta contro la camorra, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e intorno decine di stanze dove spuntano cimeli simbolo dell’arte: dai dipinti alle statue, tele e arazzi. Sono rinchiusi in grossi scatoloni, alcuni ormai ingialliti e altri invece ricoperti da nastro adesivo dove spunta un sigillo: una carta d’identità dell’opera. Qualche altro passo nel piccolo corridoio dove si intravede in un angolo una piccola vetrina, sono esposte una decine di anfore, e sul divanetto anche una catasta di riviste. Ecco, siamo nel quartier generale del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale della Campania. Nel cuore pulsante di un reparto che sovrasta la città di Napoli. Il panorama è mozzafiato e qui, nella storica tenuta di Castel Sant’Elmo ha sede uno dei reparti ritenuti tra i più eccellenti. Pochi uomini, se ne contano meno di dieci. E uno solo al comando: il maggiore Giampaolo Brasili. «Benvenuti nel nostro mondo». Nel reparto degli «eroi che salvano il bello». Ma loro non si riconoscono eroi «ci occupiamo di un altro settore, delicato, come gli altri colleghi – spiega Brasili – che prevede la tutela dei beni culturali a 360 gradi perchè oltre alle classiche indagini il nostro compito è preventivo: controlliamo cataloghi d’asta cartacei e on line, un supporto ai direttori dei musei, e le continue campagne di sensibilizzazione per la tutela del patrimonio. Noi siamo convinti – incalza il numero uno del Tcp – che il primo atto di tutela parte proprio dai cittadini». Da una parte l’attività investigativa ma sul fronte opposto l’informazione continua nei convegni, scuole, alle tavole rotonde per «trasmettere una sensibilità-sottolinea – proteggere un bene significa proteggere un bene proprio, non dello Stato o dei carabinieri, ma dei cittadini». Brasili è un fiume in piena e prova a raccontarci il lavoro meticoloso e certosino che ogni e notte, senza sosta, avviene in quel laboratorio a picco su Spaccanapoli. «Lavoriamo – dice – su tre grandi strade: l’archeologia, l’antiquariato e la falsificazione». Una matassa difficile da sbrogliare sopratutto quando non si ha una piccola traccia da cui partire «il bene archeologico purtroppo non è conosciuto e solo grazie alla sinergia con le Soprintendenze riusciamo a dare identità ad un opera a volte troppo vecchia. Per l’antiquariato invece tutto cambia». Un database racconta da solo con l’ausilio delle immagini un patrimonio di opere straordinarie trafugate «dentro ci finisce ogni singola opera che grazie alle denunce può diventare un campanello d’allarme per quanti magari la nota alle aste, nei nei mercatini». E scavando è facile inciampare anche in qualche scatto singolare «ci sono anche foto di matrimoni dove si scorge un dipinto, spesso sono le classiche immagini di Madonna con il bambino, purtroppo ce ne sono tante e grazie a quell’indizio tutto cambia». L’ultima strada però è quella che da del filo da torcere ai carabinieri: il falso. «Se si tratta di un falso storico, la prima perizia sulla tela potrebbe già evidenziare delle anomalie, ma quando invece parliamo di opere moderne, vernici astratte è sempre più complicato accertarne la veridicità». Un lavoro che però, grazie alla collaborazione di tutte le Procure ha permesso in questi lunghi anni di riportare opere d’arte nei santuari di appartenenza, in chiese o musei. Un mercato, quello del furto delle opere d’arte che ogni giorno diventa sempre più complicato «dobbiamo fare i conti con le aste on line, con un mercato che usa tantissimi canali: un’opera rubata viaggia così tanto che nemmeno immaginate e sempre più spesso ne ritroviamo solo parti: tele distrutte che non torneranno mai più più come prima». Gli occhi velati mentre mostra una parte di tela sfregiata «ecco perchè il primo passo parte dai cittadini, tutelare il patrimonio culturale ed artistico significa tutelare la nostra identità, e lo dico sempre ai più piccoli». Eppure i furti continuano «è vero, ma continuano anche i sequestri e in un anno abbiamo ritrovate davvero tante di opere ma l’emozione più grande è proprio quando la restituiamo, il grazie da parte loro è il nostro stimolo ad andare avanti».
Giovanna Salvati