Si è trovato davanti “una scena raccapricciante, la bimba era totalmente sfigurata dalle botte, aveva lividi dappertutto e faceva fatica anche a vedere, aveva gli occhi gonfi e per guardare doveva aprirsi le palpebre con le manine”. Con queste parole un agente della Polizia di Stato ha descritto la terribile scena che si è trovato davanti il 28 gennaio scorso nell’ospedale Santobono di Napoli dov’era stata portata la sorellina di Giuseppe, il bimbo ucciso il 27 gennaio a Cardito, nel Napoletano. Il poliziotto è tra i testimoni del processo a carico di Tony Essobti Badre e Valentina Casa, rispettivamente il patrigno di Giuseppe e la madre del bimbo ucciso. Badre è accusato dell’ omicidio di Giuseppe, il tentato omicidio della sorellina e i maltrattamenti. Di comportamento omissivo è invece accusata Valentina Casa.
Mio padre beve e ci picchia
“Dovete portate in prigione mio padre, la sera beve la birra e ci picchia, e mamma deve chiamare i carabinieri”. È un grido d’aiuto giunto troppo tardi, quello della piccola sorellina di Giuseppe, il bimbo ucciso lo scorso 27 gennaio a Cardito (Napoli). A riferire le sue parole, è uno degli agenti della Polizia intervenuti nell’ospedale Santobono di Napoli, testimone oggi, nel tribunale di Napoli, nel processo a carico di Tony Essobti Badre e Valentina Casa, rispettivamente patrigno di Giuseppe e madre del bimbo ucciso. Lì la bimba venne portata dopo l’omicidio del fratellino. Queste parole la bimba le riferisce al poliziotto, mentre sta disegnando, nel reparto dove la piccola è ricoverata e dove sarà sottoposta a un intervento per suturare una parte dell’orecchio parzialmente staccata, verosimilmente per le botte ricevute
Vicina di casa in lacrime, la bimba è irriconoscibile
“Mi sembrava un mostro, era irriconoscibile” e poi “non pensavo che una persona potesse arrivare a tanto”. Lo ha detto una vicina di casa del piccolo Giuseppe, il bimbo ucciso il 27 gennaio scorso a Cardito, durante la terza udienza del processo in corso a Napoli a carico di Tony Essobti Badre e Valentina Casa, rispettivamente patrigno di Giuseppe e madre del bimbo ucciso. La circostanza fa riferimento al giorno in cui Giuseppe venne ucciso, precisamente al momento in cui intervennero i sanitari del 118. “Quando ho visto la bambina – ha detto ancora la donna – ho pensato a mio figlio che ha otto anni…aveva i capelli strappati, dietro la nuca, l’ho vista per pochi istanti ma fa male ricordare”.
La donna ha poi ricordato le volte che li vedeva andare a scuola: “avevano sempre gli occhi bassi, sembravano impauriti”. Quel giorno (quello dell’omicidio), ricorda la donna, “non mi è stato chiesto aiuto” e neppure “ho sentito urlare”. La testimone ha poi confermato alcune dichiarazioni rese alle forze dell’ordine quando venne ascoltata nell’immediatezza dei fatti: “quella era la casa degli orrori: lui (Badre, ndr) che urlava sempre tantissimo e diceva parolacce”.