Rocco Traisci
Sei un gran figlio degli anni ’80, avrebbe dovuto dirgli Morgan. Senza mettere le mamme in mezzo, come ha fatto proprio lui scomodando la sua, di madre (Parla con me, Rai 1), passando da Mozart a Robertino di Massimo Troisi nel giro di mezza settimana. Perchè è vero, Morgan è un genio. Ma Bugo non è il suo discepolo insipiente, viene da lontano, viene dalle paludi dell’underground, con una mezza dozzina di album già all’attivo e la stella da sceriffo dell’indie rock appuntata sull’uniforme graduata. Tra Morgan il satiro e Bugo novello Vasco c’è una grande Milano, fatta di quartieri profondi che accarezzano la nebbia e si allargano sulla pianta metropolitana come zampe di ragno, che li vedi ovunque abbracciare milioni di vite come quelle di una grande mamma. Chi spara su quei due spara a salve, perchè sia in Morgan sia in Bugo -internamente proprio – c’è tanta narrativa rock. Le bordate di delegittimazione arrivate il giorno dopo la fuga dal palazzo – che non è stata una boutade promozionale, almeno non con quelle intenzioni – sono la prova scientifica, casomai ce ne fosse bisogno, che all’inizio nessuno aveva capito niente. Per capirne qualcosa vi consigliamo di ascoltare “Cristian Bugatti”, l’album intero di Bugo in promozione e già in tendenza, che prende in prestito il suo nome anagrafico per attirarci in una trappola mostruosa e ci catapulta -a noi bambini degli anni ’70 – direttamente nelle biro teneute in bocca, nei supertele leggeri come palloncini, nelle figurine Panini, con cui ci potevi anche pagare le caramelle colorate. Un cantautore che fuma testi modernamente passatisti, tra Ivan Graziani, Camerini, Battiato e soprattutto Vasco, di cui gli vengono naturali gli echi melodici di un disco semplicemente meraviglioso. Sentiremo parlare anche delle sue canzoni vecchie, da “Gel” a “Casalingo”, dove ci si mette anche una punta di irriverente nonsense a farcelo amare.