Dal ritornello ossessivo della “spending review” al tam tam che va facendosi altrettanto insistente di «maggiori investimenti». Da sempre, in Italia, la Sanità rappresenta anche la cartina di tornasole dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione politica. E se buona parte del resto del mondo (quella in cui la sanità pubblica praticamente non esiste) considera l’assistenza sanitaria italiana tra le migliori, di certo non si può dire che mantenerla costi poco. Ed è per questo, anche per rientrare nei vincoli di spesa imposti dall’Europa, che i governi di ogni colore politico, soprattutto negli ultimi quindici anni, hanno imposto un ridimensionamento della spesa che ovviamente ha avuto ripercussioni sui servizi. E che oggi, con l’emergenza coronoavirus, stanno salendo alla ribalta delle cronache dopo che per anni i politici hanno fatto orecchie da mercante davanti alle esigenze dei cittadini.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il nostro Paese ha dimezzato i posti letto per i casi acuti e la terapia intensiva, passati da 575 ogni 100mila abitanti ai 275 attuali. Un taglio del 51% operato progressivamente dal 1997 al 2015, che ci porta in fondo alla classifica europea. E mentre le cronache raccontano del personale sanitario allo stremo, occorre ricordare che la sanità pubblica nazio- nale ha perso, tra il 2009 e il 2017, più di 46mila unità di personale dipendente.
Oltre 8.000 medici e più di 13 mila infermieri, secondo la Ragioneria di Stato. Cifre che da sole possono far comprendere come gli ospedali e i pronto soccorso, già sotto pressione al nord, potrebbero non essere in grado di reggere la diffusione dell’epidemia. Specie nelle regioni del centro e del sud, ancora meno attrezzate e con minore personale. Come denunciato dal presidente dell’Associazione Medici Dirigenti, (Anaoo), le strutture ospedaliere hanno perso, infatti, 70mila posti letto, solo negli ultimi 10 anni.
E la Campania è stata la regione che ha ridotto di più la spesa per il personale nella sanità dal 2009 ad oggi. Se alcune regioni hanno risanato i conti in deficit tagliando la spesa generale, la Campania si è concentrata in gran parte su medici e infermieri.
Negli ultimi dieci anni la Campania è la regione che più di tutte ha tagliato le risorse per pagare il personale dipendente: dal 2009 al 2018 il calo è stato di ben il 19,7%, passando da 3,265 miliardi a 2,59 miliardi del 2017, risaliti poi di circa 31 milioni nel 2018, primo anno con un piccolo incremento. Mediamente in Italia il calo è stato del 3,9%, e in diverse regioni c’è stato invece un aumento. Basti pensare che se nel 2009 la Campania era la seconda regione per spesa per il personale sanitario dopo la Lombardia, nel 2018 era diventata sesta. Superata, oltre che dalla Lombardia, anche da Lazio, Sicilia, Piemonte, Emilia Romagna, tutte, tranne il Lazio, meno popolose.
Era inevitabile che all’origine di questi dati vi fosse un calo del numero dei medici, che in Campania è stato più importante che altrove: il numero dei camici bianchi nella nostra regione infatti è sceso da 11.282 a 9.050.
Assenze che oggi, in tempi di emergenza, si fanno sentire ancora di più.