La caccia violenta e volgare ai pazienti in ambulanza. Le foto, i video, i post. La gogna mediatica, la macchina del fango che non si ferma nemmeno davanti alle sofferenze di persone che hanno un’unica colpa: essersi ammalati. L’emergenza coronavirus ha fatto venir fuori il lato peggiore del nostro paese. Siamo in guerra ma anziché combattere stando a casa in tanti preferiscono l’odio alla solidarietà, alla comprensione. E viene da pensare che se tanta indignazione venisse usata per denunciare camorristi, spacciatori e assassini forse sì potremmo essere un paese migliore. Invece siamo diventati il paese degli sciacalli da balcone. Il paese di quelli che hanno uno smartphone sempre acceso tra le mani. Di quelli a cui la batteria, purtroppo, non si scarica mai. Riprendono ogni attimo, ogni dettaglio, ogni istante. Anche quelli più dolorosi dei pazienti (tanti) che le ambulanze del 118 in questi giorni portano via dalle proprie case. Sono avvoltoi digitali, amebe senza cervello che per puro esibizionismo filmano e mettono in rete senza alcuna vergogna immagini che dovrebbero essere intime, private, personali. C’è un malcelato concetto di opinione pubblica dietro questi voyeur del dolore che riducono la loro esistenza a guardoni del male. Spesso in questi video violenti e terribili si sentono voci in sottofondo. «Riprendi, fai più stretto, ma quella è la signora…».
Voci e immagini che, in sequenza naturale, vengono diffuse sulle chat create ad hoc per mettere alla gogna l’untore. Le immagini dell’equipe del 188 che arriva su un posto, degli infermieri e dei medici in tuta bianca che tirano fuori la barella coperta. E ancora i filmati dell’accesso alle abitazioni dove c’è un paziente da portare via, diventano per 4 deficienti (perché questo è il loro vero nome) una sorta di sceneggiatura di basso rango, un b-movie da girare in 4-3 e distribuire agli amanti dello sciacallaggio mediatico.
E poco importa se, quando accade, vi sono vite umane in gioco. Poco conta se quando si accendono le lucine dei telefonini si manchi di rispetto a chi sta lavorando ed a chi sta soffrendo. Non frega a nessuno del nodo alla gola che ha quell’uomo sulla barella mentre prova a respirare stritolato nella morsa del virus. Conta avere la foto bella, il video giusto con tanto di immagine del profilo Facebook del contagiato da mettere alla gogna. «E’ lui l’infetto», scrive lo sciacallo di turno. Il tutto in spregio ad ogni norma sulla privacy con tanto di mortificazione di ogni legge morale di rispetto delle persone che soffrono. Qualche settimana fa, proprio sulle colonne di Metropolis, un infermiere di quelli che ogni giorno vanno a caccia del virus e aiutano pazienti sofferenti raccontava una scena che rivista al rallentatore sarebbe quasi comica. «In un palazzo ho dovuto quasi minacciare di tirare fuori il mio cellulare e fotografare chi ci stava facendo un video. Ho urlato come un pazzo: se pubblichi qualcosa, io ti faccio la foto e ti denuncio. Ma questa gente non ha davvero nulla da fare». A Torre del Greco qualche sito addirittura inventò di sana pianta la notizia che dai balconi, mentre un’ambulanza portava via una donna gravemente ammalata, i vicini facessero piovere insulti e parolacce. Chi era presente, invece, raccontò e documentò della mano tesa come saluto di una vicina in vestaglia. Affacciata al balcone non per fare la guardona del virus, ma per lasciare a chi stava per andare in ospedale a affrontare una lunga e dolorosa degenza, un gesto di umanità, di fratellanza e vicinanza. Ma, per fortuna non esistono solo i balconi degli sciacalli. Non ci sono solo quelli che nelle chat whatsapp e sui gruppi fb pubblicano ogni movimento delle ambulanze sui territori cittadini. Oltre ai voyeur del Covid ci sono anche quelli che da quei balconi lanciano messaggi di speranza. Una bandiera, un arcobaleno scritto insieme ai più piccoli per regalare un sorriso: «Andrà tutto bene» è l’hashtag che in questi giorni fa la concorrenza a #iorestoacasa. Perché sui quei balconi, da quelle finestre, si può decidere di violare la vita delle persone, ma anche regalare una speranza e un futuro a chi in questi giorni non riesce a sorridere. Da quei balconi bisognerebbe cacciare gli sciacalli e trovare sempre più spazio per chi decide di cantare, mettere musica, pregare. Sono quelli i balconi di cui l’italia e le nostre città hanno bisogno. Non quelli dei filmaker dozzinali che scambiano venti secondi di dolore con una prima cinematografica.