«Che la terra ti sia lieve zio, salutami papà». Nelle parole di Raffaele Tommasino, affidate a un post su Facebook, c’è tutto il dolore di una famiglia sconvolta – come tutta la città – per la morte del medico di base ed ex assessore di Castellammare, Giovanni Tommasino, una delle quattro vittime stabiesi del Coronavirus.Raffaele è il figlio di Gino, consigliere comunale ucciso il 3 febbraio 2009 dai killer del clan D’Alessandro, in viale Europa. Quel giorno, a soli 15 anni, era seduto in auto al fianco del suo papà quando i sicari fecero fuoco.
Qualche settimana fa – attraverso un’intervista – ha raccontato anche il senso d’abbandono, da parte dello Stato, con il quale ha convissuto per lungo tempo dopo l’uccisione del suo papà. E la morte dello zio, anche se per vicende completamente diverse, gli fa porre interrogativi simili: «Come possiamo tutti noi osannare medici e infermieri, se poi li stiamo lasciando soli a gestire l’enorme carico emotivo che questa situazione comporta? Come può lo stato chiedere loro di essere eroici dimenticandoci delle fragilità umane con cui anche loro devono convivere?», scrive Raffaele Tommasino, lambendo con la sua riflessione anche le tante proteste degli operatori socio sanitari che sono costretti ad affrontare in prima linea l’emergenza del virus Covid 19.Giovanni Tommasino era un medico di base che ha continuato a lavorare nonostante il rischio contagio, prima di contrarre il virus.
E come lui circa altri 80 medici hanno perso la vita, lottando in trincea. «Si parla di numeri, ma non delle persone, delle loro famiglie, della loro storia. Ognuno sta vivendo in casa e in isolamento la condizione del lutto e della perdita legato alla morte – dice Raffaele Tommasino – Un infinito di legami e connessioni si sono interrotte, spazzando soprattuto il legame essenziale “quello tra i vivi e i morti”. La mancanza del funerale è ulteriormente traumatica perché è un rito di passaggio che consente di chiudere una pagina a livello emotivo, di prepararci e iniziare lentamente a rielaborare il lutto. Ora non c’è nulla, solo il silenzio». Ricordando poi l’impegno dello zio con il quale aveva un rapporto speciale e degli altri camici bianchi caduti sul campo: «Vittime del dovere, impegnati in una lotta senza quartiere al Covid – dice – Professionisti che stanno mettendo in campo un umanità enorme, tutto oltre il senso del dovere. Una lotta combattuta, insieme agli infermieri, anche dai medici di famiglia.
Un carico di lavoro senza precedenti che lascia segni profondi. La risposta dei sistemi sanitari regionali arriva, ma in ordine sparso e ci vorranno giorni prima che i medici di base, i più colpiti, possano avere uno scudo efficace per continuare a combattere».Parole che fanno riflettere in una città come Castellammare di Stabia che, giorno dopo giorno, sta aggiornando la lista dei contagiati proprio inserendo persone come medici, infermieri e operatori socio sanitari che sono impegnati in prima linea nella lotta al Covid.
L’ultimo in ordine di tempo, che fa salire il bilancio a 26 contagiati, è proprio un operatore socio sanitario di appena 33 anni, in servizio all’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore. Come altri sanitari, ormai dodici, impegnati al San Leonardo, ha contratto il virus lavorando in corsia per assistere le persone che sono state contagiate dal Covid, esponendosi al rischio di dover fare i conti con una malattia terribile.