È possibile che il nuovo coronavirus si diffonda per via aerea proprio come per il suo predecessore, il virus che ha causato l’epidemia Sars del 2003. Considerando le somiglianze, è molto probabile che anche quest’ultimo virus si diffonda pure con questa modalità. Stanno arrivando conferme “dell’aerosolizzazione” del coronavirus da studi recenti. È la tesi di Giorgio Buonanno, professore ordinario di Fisica Tecnica all’Università di Cassino e del Lazio Meridionale e della Queensland University of Technology.
Per l’esperto “dovrebbero essere prese tutte le precauzioni contro la trasmissione aerea, soprattutto negli ambienti chiusi dove una ventilazione non adeguata porterebbe a concentrazioni elevate del virus in aria, con rischi di contagio anche a distanze superiori ad un metro”.
“In Italia- aggiunge Buonanno – la distanza di un metro tra le persone è imposta sul territorio nazionale, ma non si fa menzione del trasporto a lunga distanza. Il rischio negli ambienti chiusi aperti al pubblico (farmacie, banche, supermercati, uffici postali) è diminuito per la minore co-presenza di persone e non per il distanziamento. Il 10% dei contagiati sono operatori sanitari, esperti e dotati di dispositivi di protezione, che agiscono in ambienti chiusi e in presenza di soggetti che emettono carico virale”.
“È difficile -conclude – spiegare perché le autorità di sanità pubblica non considerino la rilevanza della trasmissione aerea del coronavirus, ma una possibile ragione potrebbe risiedere nella difficoltà di rilevare direttamente i virus dispersi nell’aria con le tecniche di misura disponibili. Il fatto che non esistano metodi semplici per rilevare il virus nell’aria non significa che i virus non viaggino nell’aria. Oggi per la prima volta siamo in grado di prevedere con sofisticati modelli teorici quante ‘particelle virali’ sono emesse da un malato di coronavirus, anche asintomatico, ed è possibile valutare il rischio del contagio con le conseguenti azioni di contenimento”.