Diceva Victor Hugo: «Chi apre la porta di una scuola, chiude una prigione». Noi, quasi due secoli dopo, abbiamo capovolto il concetto. Quella porta l’abbiamo chiusa in tutta fretta per l’emergenza sanitaria, ma dopo mesi di lockdown non abbiamo più trovato il tempo, e forse nemmeno la voglia, di riaprirla. Certo, in qualche caso abbiamo aperto le prigioni, ma non nel senso del pensiero del padre del Romanticismo francese, che intendeva altro rispetto alle scarcerazioni indegne. Ma restiamo nella scuola, o meglio, restiamo davanti ai cancelli delle scuole chiuse, e poniamoci una domanda alla quale i grandi e i piccoli saggi che da mesi predicano in tv e sui social non hanno ancora dato risposta: «Quanto inciderà sui nostri ragazzi la chiusura della scuola?».
Una riflessione seria, che assume una straordinaria importanza socio-culturale, ma che evidentemente è fin troppo complessa per metterla al centro delle performance demagogiche condotte a colpi di slogan dai tribuni della tuttologia nati per far like e voti. Eppure, dopo gli anziani, che hanno pagato il prezzo più caro di questa maledetta pandemia, e che ci hanno lasciati ancor più poveri di memoria, sono proprio i ragazzi ad aver subito i danni maggiori del distanziamento sociale. Un anno scolastico di sei mesi avrà certamente ripercussioni sia sulla formazione culturale che su quella sociale. In fondo, è a scuola che si crea cultura. Ed è sempre a scuola che si stringono le amicizie, che s’animano rapporti e scambi di esperienze, che i ragazzi interagiscono davvero, sicuramente molto meglio che in una chat di gruppo o davanti a un mojito. Ma è un tema che non interessa a molti, tanto che docenti e ragazzi sono scesi in strada denunciando il totale senso di abbandono.
La realtà è che molti ragazzi non sono in età da voto, quindi sono fuori dai radar dei sondaggi d’opinione che indirizzano le strategie politiche di oggi. Ed essendo loro il futuro, rientrano in quella visione coraggiosa e lungimirante che non hanno i “grandi” tribuni che puntano soltanto ai risultati più immediati. Eppure è drammaticamente palese che il cancro peggiore della nostra società è l’ignoranza. Più di qualsiasi altra piaga che dalla mancanza di cultura discende. Non esisterebbe la criminalità senza ignoranza, giusto per capirci. Non esisterebbe una politica vuota e orientabile come una banderuola sulla spiaggia senza l’ignoranza. Non esisterebbe la violenza sulle donne senza l’ignoranza. E nemmeno la violenza in ogni sua declinazione.
E per combatterla, abbiamo deciso di tenere le scuole chiuse fino alla fine, mentre abbiamo consentito ai locali di ricominciare a shakerare legittimamente cocktail. Ovviamente c’è stata una fase in cui è stato necessario chiudere le scuole, ci mancherebbe. Bisognava arginare la pandemia, si doveva arrestare in qualche modo la terribile strage degli anziani tagliando ogni possibile ponte di trasmissione al virus. Abbiamo accettato giocoforza di affidare i nostri ragazzi al terribile vortice della realtà virtuale. Ma poi l’emergenza si è allentata, s’è posto il sacrosanto tema del ritorno alla vita normale e allora abbiamo iniziato a discutere (giustamente) di mille esigenze.
Come tornare in pizzeria, come andare in spiaggia, come allenarci al mattino, come tornare a tifare per la nostra squadra del cuore. Ma abbiamo totalmente dimenticato la scuola. Cioè abbiamo dimenticato i nostri ragazzi. Sul fronte della scuola l’emergenza è diventata una normalità e le aule sono rimaste desolatamente deserte fino all’ultimo giorno. La formazione è finita al centro di un dibattito imbarazzante tra ordinanze più o meno contestate e trovate più o meno sensate. Persino il prossimo anno è ancora un punto interrogativo, senza pensare al caos della maturità o agli esami a distanza che i ragazzini delle medie affronteranno nei prossimi giorni. Abbiamo parlato di tutto e del contrario di tutto, ma abbiamo lasciato la scuola in piazza, tra cartelli, proteste e mille dubbi.
Per dirla con Malcom X, che in questi giorni un po’ tutti hanno cercato in rete per copiarne frasi a effetto da postare a supporto della battaglia anti-razzista, «la scuola è il passaporto per il futuro, poiché il domani appartiene a coloro che oggi si preparano ad affrontarlo». Già. Proprio così. E noi abbiamo lasciato chiuse le porte al nostro futuro.