Sul lungomare di Castel dell’Ovo a Napoli c’era probabilmente il primo porto greco dell’antica Parthenope. Dove oggi i turisti dalle terrazze degli alberghi di lusso guardano gli scugnizzi fare i tuffi e le spose posare per le foto col castello sullo sfondo, 25 secoli fa approdavano le navi, protette da una trincea di soldati, con alle spalle una strada per i carri. E’ lo scenario aperto dalle ricerche sottomarine del team guidato da Filippo Avilia, archeologo subacqueo che ha documentato l’esistenza di un insediamento portuale dell’antica colonia greca di Palepoli davanti all’isolotto di Megaride, che all’epoca era una penisola. Una citta’ sommersa che potrebbe diventare il luogo per un nuovo turismo proprio al centro di Napoli, con immersioni archeologiche, ma anche istallazioni intorno a Castel dell’Ovo per mostrare la citta’ greca com’era attraverso le ricostruzioni tridimensionali. La scoperta, finanziata dall’universita’ Iulm di Milano, e’ stata illustrata oggi a Palazzo Reale di Napolidall’archeologo che aveva proposto i suoi studi agli atenei campani “ma non ci presero in considerazione”, spiega Avilia, mentre di fianco a lui la direttrice del Centro di studi umanistici della Iulm, Giovanna Rocca, conferma che “la ricerca sara’ finanziata anche per i prossimi step visto che ha portato molti iscritti al corso di archeologia subacquea”. Finora il porto piu’ antico ritrovato e’ quello davanti al Maschio Angioino, per questo la scoperta di Avilia “potrebbe rscrivere la ricostruzione storica della citta’”, spiega l’archeologo che ricostruisce il percorso della sua ricerca: “Nel 2016 cominciammo le immersioni – spiega Avilia – partendo da una comunicazione di tre studiosi cecoslovacchi che nel 1994 parlarono della presenza di gallerie sommerse”. Avilia ha mostrato le foto e i video che mostrano, a partire a sei metri sotto il mare, un canale, una strada scavata nel banco di tufo e quattro gallerie. “Abbiamo trovato – spiega lo studioso – anche tracce anche di una strada in salita, e un canale lungo 36 metri che e’ chiaramente una lavorazione antropica, visto il taglio preciso, che potrebbe essere stato un insediamento militare a protezione dell’approdo”. “La Campania oggi e’ felix – ha spiegato il soprintendente ai beni archeologici di Napoi Luciano Garella – non solo per la terra feconda ma anche per lo straordinario patrimonio culturale a cui si potra’ aggiungere un turismo diverso, subacqueo: le persone che vorranno vedere questo sito dovranno organizzarsi per immergersi. Pensare a un’area marina protetta? A ridosso della citta’ e’ complesso ma ma non e’ da escludere, bisogna anche convincere i cittadini. Per ora bisogna andare avati in questa ricerca pionieristica”. E infatti da maggio quando riprenderanno le ricerche sottomarine: “Si dovra’ scavare – spiega Mario Negri, rettore della Iulm – cercando manufatti, anche se il fondo marino e’ perturbato perche’ in una zona antropizzata, speriamo anche di trovare oggetti databili. Ricordiamoci pero’ che siamo ancora nel solco delle ipotesi”. Un’ipotesi che conferma il ruolo di Napoli nello scacchiere dell’antichita’: “La citta’ – ha detto Louis Godart, accademico dei Lincei – ha avuto un ruolo straordinario tra i porti nel Mediterraneo, un mare che ha assunto un grande rilievo nella storia e lo ha ancora oggi proprio grazie ai suoi innumerevoli porti”.
CRONACA
15 marzo 2018
Archeologia: nel mare di Castel dell’Ovo l’antico porto Napoli