Tonino Scala
Siamo nel 1965, è ottobre, c’è il “Festival delle Rose”, un festival musicale organizzato a metà degli anni sessanta dalla casa discografica RCA Italiana, aperto anche a cantanti di altre etichette, in concomitanza con il boom del mercato dell’industria musicale discografica. In quei giorni mentre un contingente di soldati sud coreani arriva in Vietnam del Sud, negli Stati Uniti un folto gruppo di studenti organizza un rogo di cartoline di convocazione per il servizio militare, Bruno Martino porta al Festival delle Rose un pezzo che parla d’estate. La bella stagione è finita da un bel po’, l’autunno malinconico porta ricordi in questa canzone che è diventata poi un classico della musica italiana. Sto parlando di “E La chiamano estate” una pietra miliare della musica italiana. Bruno Martino, uno dei grandi interpreti della canzone d’autore italiana già si era cimentato con un’estate lontana dai cliché nel 1960 con “Odio l’Estate”, divenuta poi “Estate”, e… ci riprova. Musicista per vocazione fin da giovanissimo, ha trovato un suo inconfondibile stile che l’ha reso il più grande musicista da nightclub italiano. Scritta per il testo da un giovane esordiente, Franco Califano, in collaborazione con Laura Zanin, e dallo stesso Martino per la musica, “E la chiamano estate” si propone come un ricercato brano intimista, che ricorda l’atmosfera dei night anni ’50: come già nella celeberrima “Estate”, Martino canta ancora una volta di un amore perduto associato con tristezza alla stagione estiva. Al Festival non andò nemmeno in finale Martino. Anche a livello discografico non fu un successo. Il 45 giri che vedeva sul lato A, “E la chiamano Estate”, e sul lato B, “La ragazza di Ipanema”, fu trainato da quest’ultimo. “La ragazza di Ipanema” è una riproposizione, una cover di Garota de Ipanema, scritta nel 1962 in Brasile, sulla spiaggia di Ipanema, dal pianista Antônio Carlos Jobim e dal poeta Vinícius de Moraes. Il brano, dedicato ad Heloisa Eneida Menezes Pais Pinto, una bellissima ragazza, assidua frequentatrice della spiaggia, meglio conosciuta come Heloísa Pinheiro, con il testo italiano scritto da Giorgio Calabrese, era già stato inciso da Caterina Valente. Ciononostante non riuscì, però, ad entrare nemmeno in classifica, a dispetto delle frequenti riproposizioni in radio e in televisione. L’anno successivo fu proposta in un altro 45 giri di Martino, sul retro “Dimmi che lo sai”. “E la chiamano Estate”, come detto è la classica canzone da night club, un’insostituibile palestra per un’intera generazione di musicisti, i quali, suonando tutte le sere e per molte ore avevano l’opportunità di fare esperienza e trovare intesa con i compagni di band. La musica di Bruno Martino ha tutte le qualità positive della “musica da night club”: umorismo, leggerezza, sensualità ed una certa gigioneria, caratteristiche che si riscontrano non solo nei testi delle canzoni ma anche nella musica, ad esempio in certe frasi veloci di stampo jazzistico che Bruno Martino utilizza al pianoforte, pur senza essere un virtuoso dello strumento. E la chiamano estate è un brano molto semplice da cantare, l’intera melodia si muove in un registro limitato e senza salti. Tuttavia quest’apparente semplicità nasconde una notevole sofisticazione nel rapporto tra melodia ed armonia. Il rapporto molto ardito tra queste ultime conferiscono alla canzone un senso di sospensione e di sogno, esprimono la malinconia dell’innamorato abbandonato, che si sente lontano ed incompreso da tutto quanto, lo circonda. Se per “gli altri”, l’estate evoca l’immagine del mare e dell’amore romantico, nel testo a firma Califano/Zanin è invece rimarcata la mesta solitudine provata da chi si sente lontano da tutto questo, schiacciato dal ricordo di un amore che probabilmente non tornerà. Forse proprio a causa di questa malinconica atmosfera swing ed un po’retrò, in un momento in cui stavano emergendo prepotentemente i gruppi e lo stile beat, “E la chiamano estate” passò quasi inosservata. Diventerà poi, un successo internazionale. Tra le moltissime cover troviamo quelle di Ornella Vanoni, Mina e quella di Orietta Berti, incisa nell’album Swing “Un omaggio alla mia maniera” del 2008. Teho Teardo nel 2008 l’ha scelta per colonna sonora de Il divo, film diretto da Paolo Sorrentino. Nel 2012 ha ispirato il titolo omonimo del film diretto da Paolo Franchi e presentato in concorso alla settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.