Rocco Traisci. La ‘guerra fredda’ e le balere, la ripresa economica e la fine del secondo dopoguerra, il jet set della Versilia e la strage di Reggio Emilia. L’estate del 1960 vede in classifica brani americani come “Are you lonesome tonight “di Elvis Presley (che da lì a poco proporrà la sua versione di ‘O sole mio, It’s now or never) e canzonette da varietà come “Da Da Um Pa” delle Gemelle Kessler. Il 1960 – causa ed effetto di tormenti e speranze – è lo specchio di un Paese travolto da una nuova ondata di emigrazione, che ha già sparpagliato 127 milioni di italiani in giro per il mondo in appena cento anni di unità nazionale. E’ l’Italia del famoso “boom” economico, dell’urbanizzazione, dei rotocalchi rosa e del miraggio della dolce vita: a Natale aristocratici e industriali vanno a Cortina, i piccolo borghesi e i nobili decaduti come il Conte Max di Sordi e De Sica optano per Capracotta. Per gli altri il famoso “boom” di cui tutti parlano si traduce in massacranti orari di lavoro nel settore edile, siderurgico e metalmeccanico. Negli anni dal 1958 al 1963 arrivano al Nord oltre un milione e trecentomila meridionali. Una massa enorme che si trova a fare i conti con indigenza e razzismo (“Non si affitta ai meridionali”). A Milano baracche, sottoscala, cantine formano le “coree degli immigrati”, come la via Gluck di Celentano («Là dove c’era l’erba ora c’è una città… E quella casa in mezzo al verde, ormai, dove sarà…»). Il famoso “boom” di cui tutti parlano è un miraggio, una corsa al benessere individuale, il rigetto di qualsiasi integrazione collettiva, il retaggio malavitoso dei terroni e la “ligera” milanese, rievocata nel brano “Ma Mi” di Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi e portato al successo da Ornella Vanoni nel ’59 («…quaranta dì, quaranta nott, a San Vittur a ciapà i bott, dormì de can, pien de malann…»). Sottecchi avanza la classe media, il ceto impiegatizio e statale, il piccolo imprenditore arrembante che venera il culto di Agnelli e Moratti e che ritroveremo ricco e corrotto nella Milano di Tangentopoli. D’estate la mondanità si trasferisce alla Capannina di Forte dei Marmi, poi nasceranno la Bussola e il Piper Club, i primi live di Fred Bongusto, Adriano Celentano e Mina, in vetta all’hit parade con “Tintarella di luna”. E’ l’anno della “Dolce Vita” di Federico Fellini, uno dei massimi capolavori del cinema mondiale. Tuttavia, a maggio, lo scrittore belga George Simenon viene travolto dai fischi durante la consegna della Palma d’oro a Cannes come migliore film. Il dizionario Morandini descrive la “Dolce vita” come la rappresentazione romana di una “Babilonia precristiana” e “un viaggio nel suo disgusto”. Le lacrime di Giulietta Masina saranno ricompensate dall’Oscar per i costumi. La ‘guerra fredda’ vive la sua fase più critica, a cavallo tra la rivoluzione cubana della milizia castrista e lo spionaggio americano del fallito sbarco nella Baia dei Porci, prodomi del Muro di Berlino e della crisi di ottobre del ’62: il dispiegamento di missili balistici sovietici a Cuba in risposta a quelli statunitensi in Turchia e Italia portano il mondo a un passo dal boom nucleare. Nel ‘60 la rivista “Tempo presente” di Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte riceve dalle fondazioni americane Florence e Hoblitzelle un finanziamento di 38mila dollari a sostegno della ‘guerra fredda intellettuale’ e contro “Nuovi Argomenti” di Alberto Moravia e “Temps Modernes” di Jean Paul Sartre. Nei juke box spadroneggiano Umberto Bindi (“Il nostro concerto”), Paul Anka (“Time to cry”) e Peppino di Capri (“Nessuno al mondo”). Intanto, nel torpore estivo, il governo democristiano Tambroni, sostenuto dal Msi, sopprime in “situazioni di emergenza” una manifestazione sindacale a Reggio Emilia, ispirando la celebre canzone di Fausto Amodei. Nella sommossa del 7 luglio 1960 cinque operai reggiani vengono ammazzati dalla polizia con 182 colpi di mitra. Che boom.
M|MHZ
16 settembre 2020
Stragi e balere, l’estate del boom compie 60 anni