Lo schema di stato patrimoniale (voce B.I.2), indica tra le immobilizzazioni immateriali, insieme con i costi di ricerca e sviluppo, anche i costi di pubblicità. Tali costi sono capitalizzabili anche se non viene chiarito a livello normativo l’uso del termine “pubblicità “, né la sua portata. Per contro le norme comunitarie non prevedono la capitalizzazione dei costi di pubblicità, ritenendoli di carattere ricorrente ed operativo. In virtù di ciò è presumibile che il nostro Legislatore abbia inteso includere tra i costi aventi utilità pluriennale anche quei costi che pur essendo nella loro natura oggettiva di carattere pubblicitario, siano nella sostanza ulteriori oneri sostenuti in correlazione agli altri oneri pluriennali propriamente detti e cioè i costi di impianto e di ampliamento.
Pertanto i costi di pubblicità sono capitalizzabili nella misura in cui risultano funzionali, se non essenziali, al buon esito del progetto per il quale i costi di impianto e di ampliamento sono stati sostenuti. I costi di pubblicità per poter essere capitalizzati devono avere la caratteristica di eccezionalità (e non di ricorrenza) oltre che devono essere collegati alla necessaria fase commerciale di “lancio” di un nuovo prodotto e non a quella di “sostegno” di un prodotto già esistente. Da ultimo, detti costi debbono essere relativi ad azioni dalle quali l’impresa ha la ragionevole aspettativa di importanti e duraturi ritorni economici.
L’iscrizione a bilancio e l’ammortamento delle spese di pubblicità sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute, oppure in quote costanti nell’esercizio in cui sono state sostenute e nei quattro successivi.
Dal punto di vista fiscale non è possibile l’ammortamento in due o tre esercizi, in quanto l’opzione dell’ammortamento in cinque esercizi è vincolante e definitiva.