Che sul sangue della faida di camorra ci fosse anche la sua firma, lo raccontano gli atti processuali e le inchieste dell’Antimafia. Che quella storia di sangue e vendette potesse consegnarlo alla leggenda della “malavita” forse, Stefano Zeno – boss del clan Birra-Iacomino recluso al regime del carcere duro – non lo avrebbe mai immaginato. L’ascesa del padrino nell’olimpo nero della camorra è firmata, ancora una volta, da un giudice. Si tratta del Gup, Roberto D’Auria che nel processo nato dall’inchiesta bis sull’omicidio di Ettore Merlino, uomo del clan Ascione-Papale ucciso a Torre del Greco il 24 maggio 2007, ha condannato all’ergastolo il boss della Cuparella. Un verdetto esemplare – Zeno è stato giudicato con rito abbreviato (il giudizio che in teoria dovrebbe garantire all’imputato uno sconto di un terzo della pena) – che consegna al capoclan la settima condanna al carcere a vita della sua carriera criminale. Un vero e proprio record per i boss all’ombra Vesuvio, anche se non si tratta di condanne definitive. Sei dei sette ergastoli, infatti, riguardano verdetti emessi in primo grado, mentre solo in un caso il boss ha già ottenuto la conferma della sentenza anche in appello (per l’omicidio di Ciro Cozzolino, agguato commesso a Prato dai sicari dei Birra).
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