Una tammurriata a Caserta. La bimba è nata nera, il marito della partoriente ha sfasciato l’ospedale e in città c’è stata la corsa ai numeri del Lotto. Un episodio che inverte i valori che si erano creati nella metà degli anni ’40, quando le truppe alleate avevano liberato Napoli e gli americani camminavano con le ragazzine della città sotto braccio, che poi puntualmente partorivano figli di colore. Era la Napoli affamata e degradata del Dopoguerra, alla ricerca di un pezzo di pane da quei militari che spesso lavoravano in mensa o nei magazzini, in posti ritenuti meno importanti dagli americani perché neri. E i neri a Napoli si integrarono perfettamente nel tessuto sociale, nella loro capacità di mischiarsi ai napoletani dediti – per colpa della fame – a contrabbando e prostituzione.
A Caserta, Terra di Lavoro e di speranza finita nelle mani dei clan, la situazione è diventata opposta. Non ci sono soldati americani, ma uomini africani scappati dalla guerra, gente di colore che – giustamente – fa parte del tessuto sociale casertano e che come facevano nel Dopoguerra è dedita alla vendita per lo più illegale di prodotti e alla prostituzione, visto il gran numero di signore che offrono il loro corpo e che dopo la caduta del muro di Berlino dividono il loro business con le donne dell’est. E dove c’è gente, dove ci sono i popoli, non può mancare l’intreccio sentimentale e sessuale. Una donna sola, con un marito sempre in giro, e una tentazione a cui non avrà saputo resistere. Se a Padova la donna che partorì un figlio con un marito sterile diede la “colpa” a Sant’Antonio, a Caserta risulta un po’ difficile attribuire le responsabilità a miracoli o altro. Undici anni per avere un figlio e poi, quando è arrivato? Quando “a cogliere buono u tiro” – come si canta nella Tammurriata – è stato un uomo di colore. Fattori inversi, perché i neri casertani oggi cercano conforto ed ospitalità, luoghi in cui ritrovare gli affetti, il calore di una donna, la passione. Anche questa è una guerra, silenziosa e difficile da vincere. E nella guerra le storie non fanno impressione, si raccontano mentre si è in compagnia. Ora “u fatto è nir nir” e pure la creatura. Lei si troverà in una guerra di dignità, non certo nella guerra di tanti altri bambini africani. Almeno lei, un giorno potrà farsene una ragione se la mamma è rimasta “sott ‘a botta ‘mpressiunata”.