Mattoni ottenuti miscelando rifiuti provenienti da scarti di lavorazione edili con pozzolana e calcestruzzo depotenziato per aumentare i ricavi: prodotti friabili e poco sicuri al punto da mettere a rischio la tenuta statica degli edifici. E’ quanto ipotizzato dai magistrati della Direzione antimafia di Napoli che hanno coordinato un blitz eseguito dai carabinieri del Noe di Caserta e della polizia metropolitana di Napoli. Diciotto le misure cautelari (14 agli arresti domiciliari e quattro divieti di dimora), 39 persone iscritte nel registro degli indagati e sigilli a due cave, nel Napoletano, e sequestro degli impianti e i mezzi. Per tutti l’accusa è traffico illecito di rifiuti svolto in Campania e con terminale anche in altre regioni, tra le quali la Sicilia. Secondo l’ipotesi accusatoria dei magistrati partenopei, nella cava San Severino di Giugliano, i rifiuti depositati avevano varie provenienze, per lo più da cantieri di demolizione. Questi venivano cartolarmente declassificati grazie a falsi certificati di analisi. Le indagini hanno dimostrato che uno degli indagati, nonostante fosse agli arresti domiciliari, partecipava all’attività di gestione e smaltimento illecito di rifiuti. Nella cava Neos di Giugliano, un complesso sito composto da una cava ancora in attività per l’estrazione di pozzolana e di una vasta area autorizzata alla ricomposizione ambientale, la pozzolana estratta veniva miscelata ai rifiuti. Questa veniva poi inviata ai cementifici e alle fornaci per la produzione di mattoni e cemento. “I rifiuti – hanno ricordato in una nota i procuratori aggiunti Filippo Beatrice e Giuseppe Borrelli – contengono calcina, sostanza che provoca lo sfarinamento del cemento e dei mattoni. Di qui la particolare pericolosità di questi composti dal momento che le indagini hanno dimostrato che questi venivano sistematicamente commercializzati”. Nel caso dell’alveo di via Crocillo a Quarto, gli indagati hanno svolto il traffico di rifiuti “ottenendo l’appalto per i lavori di pulitura degli alvei, lavori necessari per evitare gli allagamenti”. Le indagini hanno dimostrato che i lavori sono, di fatto, stati svolti da società già colpite da interdittiva antimafia. Formalmente i lavori venivano affidati a un’altra ditta, ma in realtà venivano svolti dalla famiglia Liccardi che incassava anche il guadagno. I rifiuti venivano, comunque, eliminati illecitamente: invece di rimuoverli e smaltirli come previsto dall’alveo di via Crocillo, venivano semplicemente sversati sui terreni circostanti e ricoperti di terreno. Nel solo periodo gennaio/settembre 2014, è stato calcolato che gli indagati hanno gestito illecitamente oltre 200mila tonnellate di rifiuti con un conseguente guadagno illecito di svariati milioni di euro.
CRONACA
25 maggio 2016
Napoli. Mattoni mischiati ai rifiuti per costruire case: 14 arresti