Un processo “ricco di suggestioni” per dare credibilità a una prova genetica ‘anomala’ “che non è sufficiente”. Un caso “mediatico” in cui non sono mancati colpi bassi e in cui “non c’è certezza di niente” se non che “Massimo Bossetti è innocente”. E questa la tesi sostenuta dai legali dell’imputato, accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio. Una ricostruzione in cui l’uomo dietro le sbarre viene descritto come “un figlio, un marito, un padre esemplare” e Bossetti per la prima volta piange in aula, sotto gli occhi della moglie Marita Comi e lo sguardo severo del pm Letizia Ruggeri che per lui ha chiesto l’ergastolo con l’isolamento diurno per sei mesi. Non bastano otto ore ai difensori, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, per cercare di mettere in fila i dubbi di un’inchiesta mirata a “cercare il mostro a tutti i costi”. Proseguiranno nella prossima udienza in calendario il 10 giugno, poi il 17 giugno ci sarà spazio per repliche e controrepliche, quindi nell’udienza del primo luglio Bossetti potrebbe fare dichiarazioni spontanee prima della camera di consiglio e della sentenza. Bossetti e Yara non si conoscevano: “due vite parallele senza mai un contatto, nemmeno casuale”. Due mondi diversi: lei una “bambina aperta, solare, con nessun segreto”; lui “un lavoratore indefesso, con un carattere mite, affettuoso, che cerca l’amore della sua famiglia, l’abbraccio dei suoi figli”. Parole che rigano di lacrime il volto del muratore. Due destini legati dal Dna: la traccia mista – vittima e ‘Ignoto 1’- che legano vittima e presunto assassino.
Una traccia biologica su cui c’è un’incongruenza: il Dna mitocondriale (identifica la linea di ascendenza materna) non corrisponde a quello dell’imputato. Un’anomalia riconosciuta dall’accusa, che a suo dire “non inficia” il resto. “Il Dna è sicuramente un elemento del quadro accusatorio importantissimo, ma proprio per questo – spiega il difensore Salvagni – la fotografia che restituisce deve essere nitida”. Una prova regina su cui “non ha mai potuto interloquire”, in quel momento non era indagato. “I risultati fatti da altri li ha dovuti prendere per buoni, ma noi non possiamo fare un atto di fede, non possiamo chiudere gli occhi. E un dato che va letto, studiato, deve essere perfetto. Non avete giurato su un libro di biologia ma sulla Costituzione, dovete essere severi ma scevri da suggestioni”. Il Dna, aggiunge il legale Camporini, “non è la prova di un omicidio, ma di un contatto se la prova è valida, altrimenti vale meno di zero”. Un elemento che perde valore quando Camporini mette in dubbio le immagini che riprendono il furgone dell’imputato – “quell’Iveco non corrisponde a quello di Bossetti”, mentre l’allineamento dell’orario delle telecamere sposta in avanti la ricostruzione. La giovane ginnasta, secondo i difensori, sarebbe uscita dalla palestra non prima delle 18.50, con uno scarto “di almeno un quarto d’ora” rispetto alle immagini che mostrano il furgone. “Se gli orari si spostano, se noi abbiamo ragione, è finito il processo a Bossetti. Resta un mezzo Dna”.