Riforma dei campionati. Carlo Tavecchio vorrebbe vestirsi di autorità. Tuona frasi da despota: “Le riforme dei campionati le faremo da soli se entro agosto le Leghe non faranno pervenire le loro proposte”. Il fatto non è che stia proprio in quei termini. Lui può proporre, ma non sta a lui decidere. I ricavi del calcio italiano sono tutti prodotti dalla serie A e le Società di quella categoria non hanno alcuna intenzione di ridurre il proprio organico.
Tavecchio ha delle ragioni. Per dare solidità al sistema è necessario ridurre il numero dei club professionistici. Deve però riuscire a battere i poteri forti, rappresentati appunto dalla serie A.
Altri presidenti avvicendatisi in via Allegri avevano dovuto segnare il passo. Carraro ed Abete si erano dovuti rassegnare. Nel frattempo il tempo passa inutilmente e la riforma non si farà ancora. Si perde soltanto tempo.
Tavecchio potrà mettere in campo tutte le sue idee, ma a votare poi saranno le Leghe. E qui cade l’asino perché nella massima serie nessuno si sogna di scendere dalle attuali 20 a 18. Tanti, troppi sono gli interessi economici. Alle Società medie piccole fanno gola e molto, i denari dei diritti televisivi e quelli, nell’ipotesi più malaugurata, dell’eventuale paracadute. I club di prima fascia sono invece proiettati sui proventi derivanti dalla Champions (cambierà nel 2018). I più futuribili sono addirittura fiondati sulla Super Lega Europea della quale negli ultimi tempi si è parlato pochino, ma rimane sempre nelle ambizioni di tutti.
Beretta, il presidente della Lega di serie A, a proposito di un organico a 18 squadre è stato esplicito. Una sola retrocessione diretta e l’altra tramite i play out. Furbo il “ragazzo”. Resta poi da vedere quante Società di serie B avrebbe intenzione di attrezzarsi per il salto di categoria. Quanti presidenti sarebbero disponibili all’eventuale sacrificio economico.
Sull’argomento Andrea Abodi si è trincerato dietro il silenzio. Meglio ancora non ne vuol sapere. Suonerebbe come una sconfitta il campionato cadetto con una sola promozione. Abodi è d’accordo con Tavecchio nel ridurre il “suo” organico a 20, ma non accetta che la serie A abbia deciso autonomamente e senza condivisione di raddoppiare il paracadute per le retrocesse. Tanto che ha deciso di non ripartire quella cifra (2,5 milioni a testa).
Infine la serie C. Ristrutturata (speriamo) dal primo di luglio. Va verificato il numero dei club di terza serie che riusciranno ad ottenere la licenza nazionale. Gravina è riuscito a far rispettare le norme ed a riportare il format a 60 squadre, ma nella difficoltà che accusa la categoria, sarebbe disponibile a confrontarsi a sistema con le altre componenti. Il suo impegno è sulla mission e sulla sostenibilità economica del calcio. La sua non è una questione di quantità, ma che il sistema abbia una propria forza e che il sistema sia strutturato in altro modo. Un’immagine al momento del tutto sconosciuta.
Alla fine degli europei Tavecchio cercherà di riunire intorno ad un tavolo i rappresentanti delle tre Leghe professionistiche. Dubito che ci possa riuscire. Non ne possiede la forza politica. I diktat del presidente federale,sopra accennati, lasciano il tempo che trovano.
Entro gennaio del 2017 si andrà ai voti per le nuove cariche in Federcalcio. Tutti lo negano, ma tutti lo sanno, si è già in campagna elettorale. Carlo Tavecchio vorrebbe rimanere in sella, però non ha più il sostegno della precedente tornata, quando il voto di Mario Macalli spostò l’ago della bilancia dalla sua parte. Quel 17% risultò determinante. Ora non si conosce la posizione che vorrà assumere Abodi né quella che sarà di Gabriele Gravina. Roma e Juventus, che rappresentano una grossa fetta della massima serie, all’attuale presidente sono sempre state contrarie. Rimangono allenatori, calciatori ed arbitri. Sembrerebbe che anche da Palazzo Chigi giungano segnali di fumo contrari. L’aria in via Allegri per Carlo Tavecchio non risulterebbe essere diventata molto respirabile.
E la riforma dei campionati? Ascoltate quello che vi dico, può attendere!