La divisa sgualcita con le ginocchia piantate sul pavimento. Il capo chino di chi “cerca” la pace, il perdono. Mentre una voce lenta e tremante sale dai piedi alle orecchie di quella signora dallo sguardo fiero. «Perdonatemi donna Imma – ripete afflitto – scusatemi se ho dovuto arrestare i vostri uomini».
C’è l’immagine simbolo del potere della camorra negli ultimi 20 anni nel flash dipinto dai racconti di Fausto Scudo, pentito del clan Ascione-Papale. In ginocchio c’è un uomo dello Stato, un investigatore che i camorristi dovrebbe interrogarli, non implorarli. Davanti a lui, con lo sguardo fiero e il respiro di quell’uomo che sfiora le sue scarpe, c’è Immacolata Adamo, alias Assunta,la moglie di Raffaele Ascione, il padrino fondatore della cosca di corso Resina, morto in carcere nel 2004. Una scena da brividi che l’ex esattore dei “bottone” racconta in un verbale datato maggio 2009 per fare capire agli investigatori, quelli onesti che fanno il proprio lavoro rischiando la vita ogni giorno, chi era e chi è quella che per l’Antimafia rappresenta l’ultima donna boss della camorra, la “vedova nera” che avrebbe gestito per anni le sorti di una delle cosche più spietate e potenti della storia della malavita vesuviana. Una scena da fare invidia agli sceneggiatori di Gomorra a cui Fausto Scudo assistette in prima persona. Spettatore e testimone del giorno in cui lo Stato – quello corrotto – si piegò in ginocchio davanti alla moglie del boss. Secondo il pentito, quell’uomo in divisa era un rappresentante delle forze dell’ordine che “arrotondava” il suo stipendio “lavorando” a tempo pieno al servizio della camorra. «Era stipendiato dal clan Ascione», racconta Fausto Scudo, mentre i suoi ricordi danno forma a uno dei più inquietanti verbali della storia della malavita. «Ero a casa di Assunta – il succo delle dichiarazioni rese dal collaboratore – tale soggetto si mise in ginocchio alla sua presenza per scusarsi di alcuni arresti che era stato costretto a fare». Nel suo racconto il pentito, però, non identifica l’investigatore “infedele” ne tanto meno – come chiarito anche dal gip Marcello De Chiara – la data esatta in cui si consumò l’episodio. Un racconto che ricopre di ombre i rapporti tra la camorra e gli emissari dei clan pagati sia dai boss che dai contribuenti. Ma anche la figura di quella donna, Immacolata Adamo, accusata dall’Antimafia di avere gestito e amministrato le sorti del clan, trascinandosi dietro il potere e il terrore che la cosca aveva seminato per decenni.
“Donna Imma” – un po’ come la protagonista della prima serie della fiction cult firmata da Roberto Saviano – avrebbe preso in mano le redini della cosca dopo l’arresto del marito. Per i pentiti sarebbe stata la “vedova nera” del clan a gestire i soldi del pizzo, a pagare gli stipendi ai carcerati, a siglare – per un mese appena – la pax mafiosa con i Birra, i nemici degli Ascione. «Le offrirono 25 mila euro al mese per uscire dagli affari illeciti – racconta il pentito Giovanni Savino – ma l’accordo durò poco». Poi anche le macabre vendette, come quella che secondo Savino, la vedova nera ordinò per punire la famiglia di Raffaele Iodice, ragazzo ucciso negli anni ’80, il cui corpo sarebbe stato “esumato” dalla camorra nel cimitero di Ercolano per punire i familiari che con le loro indagini personali riuscirono a incastrare i killer.