SALERNO – È ancora un fagottino, rannicchiato nella sua culla, ma deve aver la forza d’un gigante per resistere alle prove, titaniche, che il destino gli ha riservato non appena ha visto la luce. Francesco ha dieci mesi, e ne ha trascorsi già cinque tra gli ospedali d’Italia. Combatte per la vita e contro una “atresia alle vie biliari”, malattia rarissima, che la medicina sta ancora provando a curare.
Vincenzo Melchiorre e Simona Turchino, padre e madre del piccolo, hanno gli occhi stanchi, eppure per nulla spenti. Li tiene accesi il sacro fuoco della speranza, che arde in loro come una certezza: «Il nostro bimbo non è solo, anzi. Se non lottiamo noi, per lui, chi deve farlo?». Mostrano l’aspetto fiacco di chi ha smesso di dormire la notte, però il loro affanno è l’ultimo dei problemi. «L’importante è che Francesco riesca a venir fuori dal suo calvario». Non è semplice, affatto. Ma neppure impossibile.
Il 18 settembre prossimo il bimbo sarà ricoverato all’ospedale Molinette di Torino, avviando il percorso che lo porterà al trapianto di fegato. Potrebbe esser proprio mamma Simona a donargli una parte del suo organo. L’operazione è necessaria, decisiva, perché Francesco ne ha già subite tre. La più importante, il cosiddetto “intervento di Kasai”, agli Spedali Civili di Brescia, è durata 11 ore, ma il bimbo non ha risposto come si sperava. E allora occorre far presto. Urge l’epatotrapianto perché il suo intestino non riceve più bile. Il bimbo pesa ancora meno d’otto chili, è lento nei movimenti, prende quattro farmaci al giorno, ha il pancino rotondo e pieno di liquidi. In una foto, che fa da sfondo al telefonino del papà, sorride con una dolcezza che dà i brividi, pensando a cosa rischia, al dramma che sta vivendo.
Francesco compirà un anno il prossimo 30 agosto, come lui la gemellina Marika. Ha anche una sorella maggiore, Assunta, 12enne, e un fratello, Luca, di 8 anni. Assieme ai genitori, vivono in sei in una casa del quartiere Matierno, sulle colline di Salerno, 58 metri quadrati e 400 euro al mese di fitto. Papà Vincenzo è un operaio della Salerno Sistemi, Simona invece non lavora. «È dura, durissima. Anzi, diciamo pure che non ce la facciamo più», raccontano con l’umanissima disperazione che non calpesta mai l’immensa dignità che gli riempie l’anima. Le operazioni di Francesco sono garantite dalla sanità pubblica, ma le spese sostenute per restare cinque mesi fuori da casa, a Brescia soprattutto, son state tremende. «Le nostre famiglie hanno fatto l’impossibile. Adesso chiediamo aiuto», l’appello della giovane coppia salernitana in vista del viaggio della speranza alla volta di Torino.
La causa del bimbo è stata sposata dalla Caritas Zonale Salerno Ovest (che unisce le parrocchie dei quartieri di Fratte, Brignano, Ogliara e Matierno). Gli amici e colleghi di Vincenzo alla Salerno Energia Holding si sono mobilitati per dare una mano. Però non basta. Ora serve il cuore buono dei salernitani. E non solo. «Anche dopo il trapianto nostro figlio avrà bisogno d’una stanza sterilizzata, che attualmente a casa non possiamo certo permetterci – continuano i genitori -. Chiediamo a chiunque ne abbia modo, o possibilità, di darci una mano. Abbiamo sempre camminato da soli, a testa alta. Ma in questo momento ci occorre un sostegno. Dalle istituzioni. Dai cittadini. Magari dai tifosi granata».
Già, i tifosi. Il papà di Francesco è “pazzo” per la Salernitana del calcio. Ed è anche alla società di Lotito e Mezzaroma, come alla tifoseria organizzata, che fa appello: «So che hanno un gran cuore, i presidenti come i supporters. L’hanno già dimostrato in passato. Spero possano far qualcosa anche per noi e soprattutto per nostro figlio. Perché ogni momento della nostra vita, nell’ultimo anno, è speso soltanto per lui». In fondo, quella per la vita, è la partita più importante. E la certezza, sin d’ora, è che il piccolo Francesco non la giocherà da solo…