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Vico Equense. Abbattimento ecomostro Alimuri: scontro sui 450mila euro spesi
CRONACA
31 luglio 2016
Vico Equense. Abbattimento ecomostro Alimuri: scontro sui 450mila euro spesi
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La battaglia sull’Ecomostro di Alimuri continua. E nonostante il Tar della Campania abbia già detto chiaro e tondo che quell’abbattimento andato in diretta nazionale il 30 novembre di tre anni fa era sacrosanto. Ma la Sica srl, società proprietaria del rudere dell’albergo, non si arrende e vuole ottenere dal Consiglio di Stato il ribaltone. Cosa cambierebbe? L’Ecomostro non c’è più. Ma se i giudici accertassero l’illegittimità della demolizione a quel punto, in separata sede, potrebbero (forse) cambiare gli scenari. Anche per un possibile contenzioso in sede civile.Fatto sta che il Comune di Vico Equense ha dovuto nuovamente prendere atto della situazione conferendo incarico all’avvocato Erik Furno di costituirsi in giudizio.La sentenza impugnata è quella pubblicata lo scor-so gennaio dal Tar della Campania secondo cui la demolizione dell’Ecomostro fu corretta. Per i giudici il Comune di Vico Equense attuò la procedura giusta perché l’intero immobile risultava effettivamente difforme rispetto all’unica licenza edilizia concessa nel lontano 1964.Un’irregolarità confermata anche da una perizia commissionata dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata ad un esperto alcuni anni fa che indagò sullo scheletro di cemento a causa del ferimento di un giovane. Sica srl invocava l’annullamento dell’intera procedura adottata dal Comune per abbattere l’Ecomostro. Compresa la tanto bistrattata demolizione in danno. Ovvero, la scelta – assunta dalla giunta all’epoca guidata dall’ex sindaco Gennaro Cinque, oggi assessore – di anticipare i soldi per gli interventi rivalendosi poi sul soggetto privato titolare dell’abuso edilizio. Proprio quello che avvenne lo scorso gennaio, con l’avvocato Furno che iniziò a valutare la possibilità di mettere in mora Sica per la somma di 450mila euro circa (com-presi gli interessi). I giudici, nel dispositivo di primo grado, furono chiari: «Con riferimento al primo corpo di fabbrica edificato si evidenzia difformità in punto di sagoma e prospetto. Viene inoltre riscontrato che l’altezza del medesimo corpo risulta in contrasto con le prescrizioni contenute nella licenza edilizia di rinnovo». Nel dettaglio, l’altezza di 19 metri invece dei 16 previsti con 6 piani invece dei 5 autorizzati. Ol-tre al solaio del terzo corpo di fabbrica, che si estende di qualche centimetro in più rispetto a quanto per-messo. «Ne risulta dunque complessivamente una difformità plano-volumetrica dell’immobile rispetto all’autorizzazione paesaggistica del 1963».Aspetto da sempre rilanciato dall’ex assessore ai lavori pubblici, l’ingegnere Antonio Elefante, colui che ha sbloccato una vicenda durata fin troppo. Altro elemento chiave a supporto del Comune è l’uscita dall’accordo del 1997 stipulato tra le parti dall’allora ministro Francesco Rutelli. Un patto che prevedeva la delocalizzazione dell’immobile. E che è già stato annullato dal Tar della Campania. 

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