È mancato il podio, non l’emozione. La spedizione salernitana alle Olimpiadi torna da Rio de Janeiro senza medaglie, però con tanti applausi. Che non sono un “generoso tributo” alla decoubertiana maniera – chi vive di sport nutre ragionevoli dubbi sul retorico e consumato «l’importante è partecipare» – ma il doveroso e meritato riconoscimento a quattro ragazze che hanno tenuto alto l’onore d’una provincia che continua a esser fucina di talenti in tantissime discipline, nonostante storiche e ataviche criticità che ostacolano lo sviluppo di questa terra.
Sono andate a un passo dal coronare il proprio sogno l’arciera Claudia Mandia e la schermitrice Rossella Gregorio. Quarte entrambe, con le rispettive squadre azzurre di tiro con l’arco e sciabola femminile, dopo gare esaltanti, che hanno tenuto incollati alla tv sino a tarda sera migliaia di concittadini, “rapiti”, conquistati e appassionatisi a specialità di cui in gran parte dei casi quasi ignoravano l’esistenza. Ai piedi del podio, son tornate a casa con l’umanissima delusione di chi arriva ad accarezzare il desiderio d’una vita, vedendolo sfumare nella finale per il bronzo. Una beffa, anzi due, però senza il sapore della resa. Anzi. Claudia ha 23 anni, Rossella 26. L’età, il talento e la forza di volontà sono garanzie per il futuro. Un quadriennio è lungo, e il loro, un minuto dopo quei quarti posti che gridano vendetta, è già cominciato.
Come la Mandia e la Gregorio, si son fatte onore pure le due “salernitane d’adozione” in gara nell’atletica leggera. Yadi Pedroso, 29enne cubana de L’Avana vestita d’azzurro dopo il matrimonio con il suo allenatore Massimo Matrone, un “monumento” della pista del vecchio stadio Vestuti, s’è fermata in semifinale nei 400 ostacoli. Stop alle qualificazioni, invece, per Dariya Derkach, la reginetta italo/ucraina del salto triplo, trapiantata sin da bambina nell’Agro Nocerino. Anche per lei, appena 23 anni, il saluto ai Cinque Cerchi di Rio ha soltanto il sapore dell’«arrivederci».
In Brasile, a settembre, tiferemo ancora per Emanuele Di Marino, che rappresenterà Salerno nella Paralimpiadi. Nel frattempo, all’ombra del Castello d’Arechi e in provincia, si manda in archivio un capitolo meraviglioso, che se non riaggiorna la storia impreziosendo il medagliere – “fermo” alla doppia impresa, d’argento e di bronzo, dello sciabolatore Giampiero Pastore ad Atene 2004 e Pechino 2008 – di sicuro scrive l’incipit d’un possibile nuovo corso per lo sport salernitano. Ché cavalcando l’onda lunga d’un’Olimpiade, si sa, le palestre si riempiono, le iscrizioni lievitano, i movimenti crescono. Accadrà per l’arco, per la scherma, per l’atletica leggera, dove i nuovi “allievi” avranno al proprio fianco i campioni ammirati in tv, ma pure in tante altre discipline, dal nuoto (perché tanti bambini sogneranno di diventare nuovi Gregorio Paltrinieri) al judo (a caccia di qualche Fabio Basile del futuro). Saremo pronti ad accoglierli?
La grande sfida è tutta qui. E la partita non potranno giocarla soltanto i “privati”, che nella stragrande maggioranza dei casi sono ex atleti ora dirigenti “volontari” o genitori appassionati che finiscono per rimetterci di tasca propria per portar avanti una società, non limitandosi a sostenere le spese – spesso già di per sé sontuose – per l’attività dei figli. Tocca (anche) alla politica. Perché il nodo principale è l’impiantistica. Salvo rari esempi di strutture all’altezza, a volte relegate a esser cattedrali nel deserto neppure sfruttate abbastanza (emblematico l’esempio del PalaSele di Eboli, dove s’è dovuto puntare sui concerti), la provincia è carente. Un deficit le cui radici si perdono nella notte dei tempi. E che nel capoluogo ha la forma d’un’emergenza inquietante.
Le Universiadi del 2019, assegnate alla Campania, aprono spiragli per un parziale restyling, e il progetto di Cittadella dello Sport presentato a Salerno con tanto di “benedizione” del presidente nazionale del Coni, Giovanni Malagò, è una luce nel buio che dà speranza. Però non basta. Occorrono palestre, tante, funzionali e adeguate, per l’attività di base, per soddisfare la sete di sport di nuove generazioni che viceversa rischiano di crescere a pane, App per smartphone e social network.
È uno sforzo importante, ma val la pena sostenerlo, con concretezza ed efficacia, per fare in modo che all’ombra del dio-pallone, e nella scia di “nostra signora del calcio” la Salernitana (e delle altre realtà del territorio con in testa Paganese, Cavese e Nocerina) si sviluppi una cultura degli “sport olimpici” (“sport minori” per molti, “sport migliori” per altri come da definizione coniata da Antonio Sanges) che dev’esser incentivata da un’offerta all’altezza. Solo così si darà davvero un senso alle emozioni olimpiche delle nostre ragazze. E queste notti di Rio non resteranno i soliti sogni delle notti d’estate…