Giovanni Colangelo, il capo della procura della Repubblica di Napoli, se ne va. Anzi no. O meglio, non si sa. Così come non si sa se Franco Roberti lascerà a novembre la guida della Direzione nazionale antimafia dopo una vita spesa in magistratura e a indagare sui clan. E neppure è chiaro, giusto per non scarseggiare ad incertezze, se il Consiglio superiore della magistratura – preposta all’assegnazione degli incarichi direttivi – possa muoversi per bandire quei 250 posti (alcuni anche apicali) che resterebbero scoperti dal giorno alla notte se, per la prima volta dal varo della legge dell’agosto del 2004, il Governo dovesse decidere di non rinnovare la proroga dell’età pensionabile dei magistrati facendo così scattare la propagandata (e sino ad oggi fantasma) riforma dell’addio forzato delle toghe che hanno compiuto i 70 anni.
È un finale d’estate più caldo e caotico che mai quello che si sta consumando nel mondo della Giustizia italiana. Giovedì scorso il Consiglio dei ministri avrebbe dovuto affrontare la questione della contestata rivoluzione dell’età pensionabile dei magistrati. Avrebbe dovuto cioè decidere che fare del massiccio e minaccioso turn over ormai alle porte, visto che la proroga di un anno stabilita 12 mesi fa terminerà a dicembre. Ma la discussione è saltata, rimandata di qualche giorno. Si dovrà decidere in fretta, perché gli effetti collaterali rischiano di pesare come macigni. Se la proroga non ci sarà (ad oggi il Governo ha congelato la legge dell’agosto 2014 per ben due volte), centinaia di magistrati appenderanno la toga al chiodo. Inclusi Colangelo e Roberti. E occorrerà procedere a passo svelto per rimpiazzare i vuoti. Le caselle vacanti le dovrà colmare il Csm, che si è specializzato nel procedere alle nomine in tempi celeri ma non potrà comunque bruciare le tappe e scegliere tra i candidati a occhi bendati, soprattutto se in ballo ci sono incarichi prestigiosi e delicati come la guida della procura di Napoli o quella della Direzione nazionale antimafia. Per non parlare, poi, delle poltrone – pure a rischio – del procuratore generale di Cassazione, Pasquale Ciccolo, e del primo presidente della Suprema Corte, Giovanni Canzio. Per ora la fa da padrona l’incertezza. La conseguenza è che i posti più prestigiosi potrebbero rimanere scoperti per mesi. La strada, ad ogni modo, sembra quella della proroga. La terza. Un dietrofront. Abbracciato dalle polemiche. Immancabili. Soprattutto nel mondo della magistratura, che già nell’agosto del 2014 – data in cui il Governo rimodulò il limite massimo di età pensionabile dei magistrati fissando la soglia a 70 anni – storse il naso contro la presa posizione del premier Matteo Renzi e l’addio alla possibilità (introdotta nel 2002 dal Governo Berlusconi) di giudici e pm di restare in servizio – laddove i diretti interessati ne avessero fatto richiesta – sino a 75 anni. Da allora il coro degli scontenti s’è ingrossato ancora e, stavolta, per via dell’improvvisazione con la quale il Governo sta affrontando la questione. La richiesta, corale, è che il Governo smetta di procedere a tentoni sui pensionamenti dei magistrati, che fissi un tetto e che rispetti le determinazioni assunte. Ma, soprattutto, che venga spostato in avanti il limite d’età, portandolo a 72 anni. Non solo: i magistrati chiedono che non si scivoli sull’adozione di norme ad personam come pure è stato paventato. Da settimane circola la voce – ma sul punto non c’è alcunché di certo – che la proroga non sia secca ma possa andare ad interessare solo alcune figure, vale a dire quelle della Corte di Cassazione e, dunque, anche quella del capo della Direzione nazionale antimafia. Il rischio, in tal caso, è quello di partorire un provvedimento incostituzionale (perché favorirebbe solo alcuni e senza una ragione di equità) e di rilanciare all’esterno la sensazione che la magistratura si avvantaggi di normative ad hoc per tutelare i propri interessi. E i favori, i magistrati, non li vogliono. Men che meno dai politici.