La faida al rione Traiano, forse, poteva essere evitata. Potevano essere evitate, con buona probabilità, le «stese» che hanno spinto nel baratro del terrore le persone che abitano in quel pezzo di terra divenuto teatro dello scontro tra i Puccinelli-Petrone e l’ala scissionista.
C’è una richiesta di arresto, a carico di tre protagonisti della guerra, che da mesi è al centro di un serrato braccio di ferro giudiziario tra la Direzione distrettuale antimafia di Napoli e l’ufficio gip. I pubblici ministeri Francesco De Falco e Michele Del Prete avevano sollecitato a febbraio la cattura di Francesco Petrone, Giuseppe Lazzaro e Salvatore Basile per estorsione con tanto di aggravante della matrice camorristica, ma il gip Rosa De Ruggiero, che ha pesato il contenuto dell’indagine, ha risposto picche ritenendo carenti i gravi indizi di colpevolezza. Una bocciatura che, alla luce degli scenari criminali che si sono delineati in questi ultimi mesi, brucia più che mai. Petrone, Lazzaro e Basile – ai tempi dei fatti contestati (che arrivano sino al maggio 2015) in quota ai Puccinelli – sono oggi su due fronti opposti: Petrone (libero) sta coi Puccinelli, mentre Lazzaro e Basile (arrestati un mese fa per una ‘stesa’ in via Tertulliano) sono diventati i leader della frangia dei ‘ribelli’. E, stando a leggere gli allarmanti dialoghi intercettati in un filone d’indagine che guarda nel cuore della faida, i tre erano tra i criminali più attivi. Ecco che il ‘no’ del gip Rosa De Ruggiero – arrivato tra l’altro solo a luglio, vale a dire sei mesi dopo la richiesta dei pm – diventa pesante come un macigno. Ma la Dda non s’arrende. I magistrati inquirenti titolari dell’inchiesta hanno preso carta e penna ed hanno scritto al Tribunale del Riesame, chiedendo una rivisitazione della decisione della giudice. Piccate le parole usate dai pm in un incartamento di otto pagine: i magistrati sostengono che il giudice è arrivato a conclusioni «erronee, operando una valutazione non corretta, frazionata, parziale e contraddittoria delle emergenze investigative». In particolare i pm ritengono che il giudice abbia «svalutato» il racconto della vittima (nel frattempo deceduta), il titolare di una sala scommesse e videogiochi obbligato a pagare una tangente da 5mila euro, e la «portata della narrazione del pentito Emilio Quindici» che, nell’ottica accusatoria, costituisce un valido riscontro al racconto della parte offesa. Ma c’è di più: i pm contestano al giudice anche di aver liquidato la vicenda in maniera frettolosa e spiccia. «Il gip – si legge nel ricorso al Riesame – dopo aver riportato in 81 pagine gli elementi di prova esposti nella richiesta cautelare del pm, dedica poco più di mezza pagina alle sue conclusioni sul punto».