Il malessere ha origini lontane. Il calcio italiano, in generale, vive un periodo di “oscurantismo”. Moreno Beretta e Filippo Cardelli, due giovani promesse, hanno solo girato la lama nella ferita. Il loro abbandono all’attività agonista ha il valore di una sconfitta per tutto il sistema.
I ragazzi italiani incontrano difficoltà, alle volte insormontabili, a coltivare il loro sogno. Quello di affermarsi nel mondo del pallone. Alle volte non valgono rinunce e sacrifici fatti in anni di applicazione perché arriva il momento in cui ci s’imbatte davanti ad una strada sbarrata.
Quelli di Beretta e Cardelli sono due casi diversi, ma portano alla medesima conclusione. Cardelli si è sentito escluso dal suo ambiente. Il settore giovanile della Lazio. Un infortunio l’ha tenuto lontano dai campi per una intera stagione. Al rientro ha compreso che per lui non era più cosa. Gli venivano preclusi tutti i diritti. Una pregiudiziale, nel suo caso, non essere in possesso di un contratto.
Beretta, che ha anche indossato la maglia azzurra delle nazionali giovanili e che nel settore giovanile della Sampdoria giocava in coppia con Maurito Icardi, ne ha per tutti. Infila in un unico “carrozzone” presidenti, responsabili dei settori giovanili, addetti ai lavori e per non farsi mancare nulla anche gli allenatori. Beretta aveva iniziato molto presto a fare il girovago del calcio. Nei sette club in cui ha giocato – fra cui la Paganese – non è mai riuscito a trovare l’ambiente adatto per crescere. La meritocrazia è sempre stata un optional. Non ha timori, Moreno Beretta, nel fare riferimento a ipotetiche “torte” gigantesche che verrebbero spartite da personaggi che nulla avrebbero a che fare con il mondo del calcio.
Argomenti di grande attualità, più volte affrontati anche dal sottoscritto. Non si gioca più per merito. Specialmente nelle categorie inferiori. Si sta imponendo una tendenza esterofila che mette ai margini i calciatori italiani. Prolifera nei settori giovanili, accade anche a livello di prima squadra. Gli esempi in serie A sono eclatanti: Inter, Roma e Fiorentina fanno da apripista. Sembra che gli spermatozoi che giocheranno bene al calcio si siano tutti trasferiti in paesi lontani dall’Italia.
Nei nostri campionati è più facile giocare pagando che per propri meriti tecnici. I campionati inferiori sono infatti pieni di calciatori “sponsorizzati” da qualche zainetto ricolmo di carte da 100 euro. La moda degli stranieri imperversa in ogni caso anche in Lega Pro.
L’esempio peggiore viene dai risultati conseguiti dai nostri club a livello internazionale. L’Inter, che schiera e non sempre un solo italiano, rimedia pessime figure in ogni dove. In campionato e nelle coppe. Evidentemente, riferendoci alla battuta precedente, ha indovinato una serie di “spermatozoi” sbagliati.
In Europa ed in campionato, guarda caso, si sta affermando il progetto del Sassuolo. Predilige l’utilizzo del prodotto interno. Schiera un solo straniero, tra l’altro proveniente, in trasferimento temporaneo, dalla Juventus. I risultati premiano un progetto che l’ex presidente di Confindustria, Squinzi, ha sposato da sempre. Segno che il “seme” del calcio procrea ancora anche in più di una regione italiana.
Ho scritto, da sempre, che occorrono riforme. Regole nuove che diano spazio maggiore al prodotto interno. Ricorrere al sistema delle seconde squadre in Lega Pro, limitandole all’utilizzo dei soli calciatori di nazionalità italiana, non sarebbe affatto disdicevole.
Lavorare in proiezione. Potrebbe contribuire ad allestire una nazionale fatta di calciatori, italiani, titolari nei loro club di serie A. Oggi non funziona così. Prendiamo schiaffi in tutte le competizioni in cui scendiamo in campo con la maglia azzurra. Pur attingendo tra gli stranieri, naturalizzati, che giocano nel nostro massimo campionato.
Anche per questo, poi, accade che per salvare la faccia della Roma, ingolfata di comunitari e non, ci deve pensare il “pupone” Totti. Un nume, indistruttibile, giunto alla soglia dei quarant’anni.