Ad Ottavio Bianchi è mancata sempre la faccia, prima da calciatore e poi da allenatore. L’espressione paffuta del viso mal si addiceva sia a quella dell’atleta che a quella del grande stratega. Anche il nome Ottavio ricorda i maggiordomi dei film del periodo “telefoni bianchi (appunto!)“.
Giocava da mediano, di quelli che non hanno i piedi educati del centrocampista puro, ma che sono in grado di dare un valido contributo alla costruzione del gioco. In quegli anni (fine anni sessanta – primi anni settanta) il compito del mediano era prevalentemente quello di interdire e, recuperata palla, passarla al centrocampista. Esordio in serie B a Brescia a soli 17 anni, poi la chiamata del Napoli. Bianchi nelle sue stagioni a Napoli, ha dato il meglio di se. Zurlini, Panzanato e Bianchi: applicazione e caparbietà a fare diga davanti a Zoff. Ottavio è generoso ma fisicamente fragile. Diversi infortuni ne condizionano la carriera, non, però quanto la spigolosità del suo carattere. Bianchi crede che debba essere il campo ad esprimere i valori reali. Fa una breve comparsa (2 partite) anche in Nazionale già nel 66. Si rende, però , subito conto che in Azzurro non si arriva solo per meriti sportivi ma anche per questioni geo-politiche. Dopo l’esperienza a Napoli finisce all’Atalanta e poi nel disastrato Milan di Buticchi. Il calcio giocato finisce a Ferrara con la Spal, dove inizia, quasi senza volerlo, la carriera di allenatore. La gavetta è dura perché spesso viene chiamato in situazioni societarie difficilissime. In serie A arriva con Avellino e poi Como. È Italo Allodi (non uno qualunque) a volerlo a gestire il Napoli di Maradona.
Per uno che ha come modus vivendi l’applicazione ed il lavoro, quell’ambiente e quella squadra sono un durissimo banco di prova. Anarchie e facili entusiasmi sono da incanalare positivamente. Si crea, così, un’alchimia irripetibile ed inattesa: nel 87 vince il primo indimenticabile scudetto dei partenopei. Arriva, nello stesso anno, anche la Coppa Italia e qualche anno dopo la Coppa Uefa.
Tutto quello che accadde in quello spogliatoio è leggenda e, come tutta l’epica, è un misto tra verità aumentate e fantasie non interpretabili. Il precario equilibrio si rompe quando gli elementi (anche quelli meno importanti) costituenti quella magia cominciano a reclamare visibilità.
Bianchi allenerà anche Roma, Inter e Fiorentina senza grandi fortune.
Un carattere difficile, ma ognuno dei Presidenti che ha avuto gli ha riconosciuto il merito della sua competenza e della sua correttezza. Il Bianchi allenatore è stato uomo di campo, poco incline alle ingerenze del “media”, insofferente delle pressioni dei tifosi e intollerante dei giochetti dei mediatori e dei procuratori.
Quello scudetto col Napoli non fu, a suo dire, il suo più grande risultato sportivo, perché gli era toccato lavorare in contesti molto più complicati… e senza un Maradona
Passati gli anni, dimenticate le incomprensioni, nel cuore e nella memoria del vero tifoso napoletano, Ottavio Bianchi resterà sempre l’allenatore che rese possibile quello che fino ad allora era stato solo un miraggio. Se quel Napoli funzionò, gran parte del merito fu di Ottavio Bianchi.