«Gemma Donnarumma è affetta da sintomi di depressione». E’ questo il bollettino medico emesso dai camici bianchi dopo aver visitato la moglie di Valentino Gionta, il fondatore della cosca di Palazzo Fienga. La moglie del padrino della criminalità organizzata a Torre Annunziata nei giorni scorsi ha avvertito un malore. Secondo quanto emerge la donna si sarebbe sentita male dopo la notizia di dover scontare altri cinque anni dietro le sbarre. Per lei infatti, le porte del carcere si sarebbero dovute aprire il 4 ottobre, ma proprio nei gironi scorsi la Corte di Appello di Napoli ha emesso la sentenza nell’ambito del processo Alta Marea condannando definitivamente lady camorra a undici mesi e otto mesi. Quindi, per ora, la moglie del ras resta dietro le sbarre del penitenziario. Una condanna che però la donna non si sarebbe aspettata tanto da scatenare un malore. Lo stesso, come quando, nel giorno dell’arresto, scendendo la rampa di palazzo Fienga, si sentì male. Ma questa volta i medici hanno diagnosticato tra le ragioni del malore i primi sintomi depressivi. Gemma Donnarumma, aveva chiesto la liberazione anticipata già durante l’estate dello scorso anno, ma i giudici le avevano negato lo sconto. I suoi legali avevano chiesto la scarcerazione anticipata con l’ottenimento dei domiciliari. Gemma Donnarumma ha trascorso sette anni in cella, e per buona condotta avrebbe potuto usufruire della liberazione anticipata, ma nonostante tutto il suo nome era rimasto nella lista dei soggetti pericolosi, tra i marchi indelebile nella cosca dei Valentini. Perché quando il marito fu arrestato fu lei- secondo la Dda – a gestire gli affari del colosso criminale di Palazzo Fienga. Era lei la lady di ferro se si pensa alle donne boss. Tra le menti più astute e ciniche della camorra partenopea in rosa, Gemma Donnarumma ha incarnato il potere di una delle cosche più temibili fino al giorno del suo arresto. Fu la resa di colei che gli investigatori indicarono come la «personalità di spicco del clan dopo una riorganizzazione forzata dalla “decapitazione” del maggio 2007». Insomma «spietata anche se non aggressiva», ma soprattutto «pronta a continuare a e il potere di una famiglia oggi sgretolata, spaccata». La sua libertà avrebbe rappresentato la rinascita del clan, un clan che oggi non esiste più. E lei, sola dietro la sbarre del carcere ora non resiste più al peso degli anni, delle responsabilità, della detenzione.
CRONACA
27 settembre 2016
Malore dopo la sentenza per Lady camorra: si sente male