La Sostenibilità. Una prerogativa essenziale per garantire la stabilità del sistema. Una scoperta come l’uovo di Colombo. Se ne sono accorti anche in Federcalcio ed ai vertici di tutte le Leghe del calcio professionistico. La riforma, accertata la sostenibilità, va poi avanti da sé.
La riforma appunto. Se ne parla da troppo tempo senza mai giungere a una conclusione. Bisogna ridurre gli organici dei campionati professionistici. Si è sempre detto. Un ritornello che si è ripetuto inutilmente e da troppo tempo a tutti i piani del pianeta calcio ritenendolo, a torto, la panacea di tutti i mali che affliggono il sistema.
Il rimedio, invece, era lì. Sotto gli occhi di tutti. Il metodo più semplice, se applicato, per conferire la indispensabile accelerazione alla soluzione delle problematiche che affliggono una delle industrie leader nell’economia dello Stato.
E’ finalmente emersa la necessità di cambiare i modelli associativi. Dalla serie A alla Lega Pro. Sta finalmente prevalendo l’ipotesi dei criteri, non quella dell’aritmetica. L’inutilità di ragionare a livello numerico.
Sostenibilità e criteri, quindi. La pietra miliare dalla quale iniziare un nuovo percorso. La rigida applicazione delle norme ed il rispetto delle stesse stabiliranno quanti e quali club potranno entrare a far parte di ogni categoria.
L’uovo di Colombo, come si vede. La salvaguardia del merito sportivo dovrà essere sempre prioritario, ma non dovrà più essere l’unico e imprescindibile elemento. E’ indispensabile portare avanti quel progetto che privilegia i principi della “sostenibilità”, da applicare nel futuro dei club italiani, sul quale Gabriele Gravina aveva puntato il dito e si era già espresso positivamente nel passato. Negli ultimi giorni è arrivato il consenso anche di Beretta (Lega di A) e di Abodi (Lega B). Forse, per la prima volta in assoluto, tutte le componenti del sistema calcio hanno condiviso unanimemente una prospettiva riformistica.
Vengano rispettate le regole e si taglino i rami secchi. In tutte le categorie. Vengano rispettate alla lettera tutte le norme. L’integrità, il patrimonio, gli stadi, le professionalità, i ruoli. Senza raggiri e scappatoie. Chi non è in grado non può fare calcio. Occorrono regole più rigide e l’autorità per farle rispettare. Sulla qualità ricettiva degli stadi, per esempio, un giudizio che non deve essere limitato alla sola capienza.
Si controllino gli “ingressi” negli assetti societari. L’integrità di chi si approccia alla gestione dei club. La consistenza patrimoniale degli stessi, con proiezione pluriennale. Degli stadi si è già parlato. Siano banditi i soliti noti, gli squalificati. Vengano sanzionati ed emarginati gli stessi presidenti che li utilizzano.
Alcuni esempi? E’ sotto gli occhi di tutti il caso dello stadio di Crotone. Come quello dell’Arena Garibaldi di Pisa. Sotto la torre pendente ci sono anche altre difficoltà sull’assetto societario risultate sino ad oggi insormontabili. Nella recente tornata del calcio mercato soggetti non abilitati all’esercizio della professione e altri sanzionati dalla Giustizia Sportiva gestivano, indisturbati, gli interessi di alcune Società. Sotto il controllo di nessuno. In alcune piazze, vedi Mantova ed Ancona, rischiano di saltare, per inadempienze economiche, alcuni assetti societari costituitisi nel recentissimo passato. Il fallimento del Como. La radiazione del Lanciano. Non sembra che sia molto rosea neppure la situazione attuale dell’Avellino.
Problemi che riguardano tanti club. Il rispetto dei criteri di sostenibilità li risolverebbe tutti. A ben pensarci, la soluzione, facilissima, giaceva da tempo sul tavolo.
Rimane un interrogativo. Solo Colombo fece rimanere diritto quell’uovo. Ci riusciranno i vertici del calcio italiano? Si tratta di mettere all’angolo alcune decisioni di natura politica.
Come sempre.