Il sorriso adesso è sincero. Non nasconde più nulla, perde quell’ironia con cui ha provato a spezzare quelle continue pressioni che, soprattutto negli ultimi mesi, hanno “turbato” la sua avventura 2.0 all’ombra del Castello d’Arechi. Leonardo Menichini giunge a Salerno poco dopo le 18 e apre le porte del suo cuore: lascia l’auto in centro, accompagnato da Carlo Perrone, e raggiunge in pochi minuti via Velia per presenziare al debutto di “Salernitana 19:19. Dalla D alla B alzando le coppe”, il libro di Pietro Nardiello e Nicola Ianuale che raccoglie le sue imprese. Tranquillo, sereno, sorridente. «Vi trovo più belli e simpatici», la battuta che rompe il ghiaccio con tifosi e giornalisti, gli stessi che – ipse dixit – «non gli hanno mai risparmiato bastonate». Il passato è alle spalle. Non senza qualche rimpianto. «Quant’è bella questa città, non sono mai riuscito a godermela fino in fondo», la confessione sussurrata mentre scruta l’orizzonte e ricorda le difficoltà del suo mestiere. «Ci sono tante cose belle qui, io le ho potute vivere soltanto in parte. Come dice il mio maestro Mazzone “noi allenatori abbiamo un bel conto in banca ma conosciamo soltanto stadi, alberghi e campi di allenamento”. Salerno me la sono goduta poco». Un pensiero che attualizza in pochi attimi. «Ma voi pensate che Sannino stia vivendo bene queste ore dopo il successo sul Benevento? Sta già pensando alla partita di Brescia…», l’interrogativo con cui evidenzia che fare l’allenatore da queste parti non è un gioco da ragazzi.
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