”Il riso e’ sacro”, ripeteva sempre Dario Fo. Anche se, avvertiva, ”in tutta la mia vita non ho mai scritto niente per divertire e basta. Ho sempre cercato di mettere dentro i miei testi quella crepa capace di mandare in crisi le certezze, di mettere in forse le opinioni, di suscitare indignazione, di aprire un po’ le teste”. Drammaturgo, regista, attore, pittore di scena (”nessuno mi vuole nella sua categoria. Mi tollerano solo gli scenografi”, scherzava), tra i tre grandi del Novecento italiano insieme a Luigi Pirandello ed Eduardo De Filippo, Dario Fo, scomparso questa mattina a Milano a 90 anni, e’ stato fino a oggi l’autore italiano vivente piu’ rappresentato nel mondo. Al teatro, il suo grande amore insieme alla pittura, si e’ avvicinato all’inizio degli anni ’50, ma proprio mentre cresce e si consolida il teatro di regia, lui sin da subito sovverte ogni regola e schema, guarda alla tradizione della commedia dell’arte e coltiva il ”suo” modo di vivere il palcoscenico, fatto tutto di narrazione e uso del corpo. Gia’ nel 1953 ha successo con Un dito nell’occhio, spettacolo di rivista, comico e satirico, politicamente di sinistra e nuovo per la graffiante critica sociale. Fondamentali sono l’incontro con il regista Franco Parenti e poi con il mimo Jacques Lecoq, che gli insegna a sfruttare i difetti (il sorriso cavallino o la voce non limpida) e a creare contrasti efficaci tra cio’ che dicono le battute e quel che invece dice la mimica. E’ la nascita del Giullare, la figura con cui si identifichera’ tutta la vita, colui che armato solo dell’arte, della parola e del riso sferza colpi a ogni potere precostituito. E poi c’e’ l’arrivo di Franca Rame, sua moglie dal 1954, con cui scrivera’ gran parte del suo repertorio. Dalle prime commedie (Gli arcangeli non giocano a flipper, 1959; Aveva due pistole dagli occhi bianchi e neri, 1960; Chi ruba un piede e’ fortunato in amore, 1961), passa per un esperimento brechtiano con Isabella, tre caravelle e un cacciaballe (1963), la satira politica di Settimo, ruba un po’ meno (1964) la riscoperta dei canti popolari tradizionali (Ci ragiono e canto, 1966), fino agli anni ’70. Fo ”esce” dalla tv, dalla censura, dalla cultura apparentemente ”alta”, ma anche dai teatri fisici. E porta i suoi testi, di ispirazione apertamente protestataria e militante, sempre piu’ tra la gente. Una scelta che, ancora una volta, ricorda le compagnie della Commedia dell’arte, ma che sara’ soprattutto la chiave del suo arrivare al pubblico e il segreto di non esserne mai dipendente. Nasce cosi’ ”Mistero buffo”, testo che e’ la summa della sua poetica, ispirato ai vangeli apocrifi e a racconti popolari sulla vita di Gesu’ (il titolo ricalca quello di una celebre farsa politica e surreale di Vladimir V. Majakovskij), che negli anni crescera’, si aggiornera’, arrivera’ fino a riempire gli stadi, con le battute in grammelot, quella lingua inventata, fatta di suoni onomatopeici dai vaghi accenti padani, che sulle labbra di Fo diventava narrazione piena. E poi, in un travaso senza sosta tra cronaca e satira, ma anche libri e pittura, seguono Morte accidentale di un anarchico, sul caso Pinelli (1970); Tutti uniti, tutti insieme, ma scusa quello non e’ il padrone? (1971); Guerra di popolo in Cile (1973); Il Fanfani rapito (1975); La marijuana della mamma e’ sempre piu’ bella (1976) e, piu’ avanti, nella fase piu’ ”divertita” Fabulazzo osceno (1982), l’Arlecchino per la Biennale di Venezia, Coppia aperta (1983), Il papa e la strega (1990), Zitti, stiamo precipitando (1990), Johan Padan a la descoverta de le Americhe (1991). Amatissimo anche all’estero, soprattutto in Francia, infaticabile Dario Fo continua nelle sue lunghe tourne’e anche dopo il Nobel del ’97, con Marino libero! Marino e’ innocente! (1998), rileggendo con mimi e pupazzi il processo ad Adriano Sofri e poi Lu santo jullare Francesco, sull’amatissimo santo di Assisi (1999) e tante lezioni-recital sui grandi pittori, da Giotto a Mantegna, le regie operistiche, senza che la sua parola, il suo gesto perdessero mai di forza. Tanto che ancora nel 2014 ”In fuga dal Senato”, tratto dal testo di Franca Rame, tra le polemiche viene cancellato dal cartellone dell’Auditorium della Conciliazione a Roma, accolto poi dal Sistina. E ancora quest’estate Fo era in cartellone a Roma con una nuova versione di Mistero Buffo. In scena non lascia eredi ”diretti”, sebbene Paolo Rossi abbia firmato una versione ”pop” del suo Mistero Buffo e Ugo Dighero anche in questa stagione riprendera’ parte del testo originale, ma un’eredita’ piu’ ampia, diffusa, che ha germinato, cambiando per sempre il modo di fare un certo teatro e di portarlo incontro al pubblico.
SPETTACOLO
13 ottobre 2016
CIAO DARIO. Il Mistero Buffo del suo teatro: tutte le opere