Il sistema del calcio italiano sta cambiando? Ci sono segnali positivi e tangibili in tal senso. Sta finalmente prevalendo l’ipotesi dei criteri, non quella dell’aritmetica. L’inutilità di ragionare a livello numerico. Sostenibilità e criteri, quindi. La pietra miliare dalla quale iniziare un nuovo percorso.
La rigida applicazione delle norme stabilirà quanti e quali club potranno far parte di ogni categoria. Probabile che si realizzi una Lega Pro a 40/45 squadre. Ben venga se sarà servita ad elevare la credibilità, il potere economico ed il valore sportivo della categoria.
Sarà il frutto di un evento fisiologico. Con una equazione: alzare la qualità per ridurre. La salvaguardia del merito sportivo dovrà essere sempre prioritario, ma non dovrà più essere l’unico e imprescindibile elemento. E’ indispensabile portare avanti quel progetto che privilegia i principi della “sostenibilità”. Per la prima volta in assoluto, tutte le componenti del sistema calcio hanno condiviso, all’unisono, una prospettiva di riforma.
Vengano rispettate inderogabilmente le regole e si taglino i rami secchi. Vengano effettuati controlli capillari sull’onorabilità, l’integrità, il patrimonio, gli stadi, le professionalità, i ruoli. L’organizzazione dei settori giovanili. Senza raggiri e scappatoie. Andranno eliminati gli “hacker” del calcio. Quei soggetti, portatori di virus, dediti ad inquinare il sistema.
Sui criteri della sostenibilità una parte predominante la dovranno recitare le infrastrutture.
Sulla qualità ricettiva degli stadi, per esempio, il giudizio non deve essere limitato alla sola capienza. Le infrastrutture, e siamo arrivati al dunque, dovranno rispondere a requisiti inerenti non solo l’illuminazione, i posti, il manto erboso. Ogni stadio dovrà essere in linea con un modello indicato dalle regole.
Salvo rarissime eccezioni allo stadio, in Italia, non va più nessuno. Il fenomeno non è conseguenza del prodotto, alternativo, offerto dalla televisione a pagamento. Si tratta invece di un problema riferito alla “ospitality”. Nessuno ha più voglia di frequentare “teatri” obsoleti.
Gli impianti sportivi italiani non reggono il confronto con le confortanti “arene” di altri Paesi europei. In Inghilterra ed in Germania, citati da esempio, allo stadio ci si va con la famiglia, per passare la giornata, con alto indice di gradimento. Il ristorantino, il negozio per il gadget, il reparto della storia sportiva del club. Anche le compagne e mogli meno appassionate al gioco del calcio in queste visite trovano spunti di attrazione interessanti. Il tutto si completa con l’adrenalina consumata, sugli spalti, nel corso della partita.
In Italia questo “privilegio” è concesso soltanto a chi frequenta lo stadio della Juventus. L’unico, nel suo genere, di proprietà del club. Costruito a giusta dimensione ed in grado di soddisfare tutte le richieste.
Le carenze degli stadi di Crotone e di Pisa rappresentano soltanto la punta di un iceberg ormai alla deriva. A Roma capitale lo stadio Flaminio, una nicchia nel centro della città, si trova in stato di abbandono. In alcuni impianti di serie B e di Lega Pro la situazione è a dir poco allarmante. Settori con seggiolini sradicati e mai sostituiti fanno bella mostra di sé ovunque. Sorvoliamo sulla idoneità dei servizi igienici. Parcheggi, settori riservati agli ospiti ed ospitality sono argomenti in alcuni casi completamente sconosciuti.
Anche il legislatore ci ha messo del suo. Il progetto della Roma sullo stadio di proprietà si è impantanato dalle parti di Tor di Quinto. Il Milan dopo un primo tentativo si è frettolosamente dileguato. Progetti di impossibile realizzazione per una carenza di cultura nel settore insita in chi ci amministra. Chi ci amministra, appunto, incapace alle volte per natura ed altre per una scarsa disponibilità economica alla manutenzione ed alla riqualificazione degli impianti esistenti.
Poco male, continueremo a guardare le partite dinanzi alla televisione. Consolandoci nel mangiare polpette.