«Il dato ci preoccupa, ma il tema è squisitamente politico». Il rettore dell’Università “Suor Orsola Benincasa”, Lucio d’Alessandro, analizza la classifica degli Atenei italiani pubblicata da Il Sole 24 Ore. Dodici gli indicatori utilizzati per redigere il report delle università e “misurare” i risultati di didattica e ricerca. Da un lato, la solidità della struttura dei docenti, la capacità di garantire puntualità negli studi, i collegamenti internazionali e le esperienze lavorative durante il corso di laurea. Dall’altro, la qualità della produzione scientifica e dei dottorati, la capacità dei dipartimenti di ottenere finanziamenti esterni. Nel 2016 non brillano affatto quelle campane. Può sorridere solo l’Università degli Studi di Salerno, prima per la nostra regione e sedicesima su scala nazionale, recupera ben dieci posizioni rispetto al 2015. All’ultimo posto, invece, si piazza l’Università “Parthenope” di Napoli, 61esima. Non va meglio alla storica “Federico II” al 57esimo posto. Un gradino prima c’è la Seconda Università degli studi di Napoli. A metà classifica l’”Orientale , in posizione 33. I migliori Atenei sono quelli del Nord, sia tra le statali sia tra le non statali. Al top Verona, Trento e Bologna. Seguite da Politecnico e Bicocca di Milano. La classifica delle non statali è guidata da Luiss, Bocconi e San Raffaele. Il Suor Orsola Benincasa è al decimo posto.
Rettore, lei è anche vicepresidente della Crui, la Conferenza dei rettori. Esiste un problema Sud?
«Evidentemente sì. Io e Gaetano Manfredi, rettore della Federico II e presidente della Crui, non possiamo fare della Conferenza la paladina delle Università del Sud, visto che il tema è squisitamente politico e deve interessare la Presidenza del Consiglio e il Parlamento».
Gli Atenei campani fanalino di coda, si salva solo Salerno. C’è da preoccuparsi?
«Il dato preoccupa e va analizzato. La classifica combina più fattori, non solo ricerca e didattica ma anche i servizi, il placement, la capacità di intercettare risorse. E’ chiaro che il Sud è in difficoltà e, di conseguenza, le università del Sud lo sono. Ad esempio, considerando i progetti di ricerca noi risultiamo secondi solo a Trieste. Per cui il tema da affrontare è la collocazione nel territorio, partendo dai trasporti alla residenzialità».
Può esserci un effetto negativo sulle iscrizioni, a seguito di dati così penalizzanti?
«Potrebbe generarsi un danno di immagine. Gli studenti tendono al top. Ma, ad esempio, al Suor Orsola abbiamo avuto un incremento delle iscrizioni del 10% ma bisogna stare attenti perché il problema esiste».
Come affrontarlo?
«Bisogna intervenire in termini di sistema. Essere primi nel Mezzogiorno significa essere decimi, come per noi del Suor Orsola. Se migliora il contesto territoriale, migliorano le capacità delle università, ad esempio anche nell’intercettare finanziamenti. Altrimenti tutto continuerà ad andare al Nord e le realtà del Sud, anche le più attive, resteranno in sofferenza. Un aspetto di cui, sembra, il premier e il Capo dello Stato sono pronti ad accendere i riflettori».