I boss del clan Papale erano pronti a tutto pur di bagnare nel sangue la loro sete di vendetta. Al punto da programmare un agguato in carcere per “impiccare” Giacomo Zeno, uomo di punta del clan Birra, nemici giurati della cosca dei “siciliani” con base e interessi a Ercolano e Torre del Greco.
Un piano sconvolgente che riemerge dalle pagine delle intercettazioni ambientali in carcere. Parole di fuoco finite al centro delle inchieste che hanno portato a processo le donne del clan. Mogli, figli e parenti dei padrini che avevano tentato di riorganizzare la cosca messa in ginocchio da blitz e arresti.
Il contesto è la sanguinosa mattanza di camorra. La guerra senza confini che per oltre un decennio ha visto sfidarsi – a colpi di pistola – killer e padrini, sicari e gregari. Tutti contro tutti per conquistare il monopolio delle estorsioni e della droga. Ma anche per regolare vecchi conti e vendicare gli “sfregi” del passato.
Come l’omicidio di Antonio Papale, fratello di Alfio e Luigi, i boss del clan che ha esportato la mafia sotto al Vesuvio. Correva l’anno 2007 e un commando armato dei Birra – aiutati da sicari dei clan Gionta e Lo Russo (alleati della Cuparella) – uccidono Papale davanti all’ufficio postale di Ercolano. Un delitto che segna l’alleanza tra i “siciliani” e gli Ascione. I Papale – fino a quel momento estranei alle logiche della guerra tra clan – scendono in campo.
Sulla lista nera dei “catanesi” guidati da Luigi Papale, padrino di corso Cavour, finiscono anche i parenti dei camorristi del clan Birra-Iacomino. Ma l’odio più profondo, i “siciliani” lo dimostrano nei confronti della famiglia Zeno, dinastia criminale legata a doppio filo al clan della Cuparella. Una “stirpe” di camorristi guidata da Stefano e Giacomo Zeno. Entrambi condannati all’ergastolo – nei vari gradi di giudizio Stefano Zeno ha incassato 11 condanne al carcere a vita – ed entrambi oggi reclusi al 41bis.
Pezzi da 90 della camorra vesuviana considerati – assieme a Giovanni Birra – tra i principali protagonisti dell’agguato costato la vita ad Antonio Papale. Un sospetto capace di scatenare le rabbiose fantasie dei boss rinchiusi dietro le sbarre e pronti a tutto pur di vendicarsi.
Eloquente è il colloquio che vede protagonisti Alfio Papale – boss deceduto in carcere nel 2016 – e un uomo vicino alla cosca. Parlando di Giacomo Zeno e di un processo nel quale quest’ultimo è coinvolto, il padrino annuncia il suo piano di vendetta.
«Come hanno la sentenza loro, così gli do la sentenza io, li faccio impiccare», ripete rabbioso Papale davanti al suo interlocutore riferendosi – secondo gli inquirenti – proprio Giacomo Zeno. Un piano assurdo diventato manifesto dell’odio profondo tra le due cosche.
Che gli Zeno fossero nel mirino dei Papale, lo raccontano anche le intercettazioni in carcere di Luigi Papale che parla – secondo l’Antimafia – di attentati ai danni dei familiari dei Birra anche durante le visite al carcere. Un dato confermato pure dalle parole di Salvatore Fiore, killer pentito degli Ascione-Papale e nipote del boss Luigi Nocerino.
L’ex sicario, nel mettere nero su bianco i propositi di vendetta dei “catanesi”, racconta di un piano messo in atto dai Papale per uccidere Stefano Zeno. «Mi hanno parlato di un progetto di attentato contro Zeno Stefano e Tore o curto – il racconto del super pentito – Il progetto era quello di fare saltare in aria con un colpo di bazooka i ‘autovettura blindata (si trattava di una Fiat Panda) a bordo della quale viaggiavano Zeno SteJno e Tore o curto. Ricordo che il progetto prevedeva che il colpo di bazooka poteva essere espioso da casa di Papale Alfio, sotto la quale Zeno Stefano e Tore o curto passavano abitualmente per raggiungere Pugliano».
Progetti di morte mai messi a segno. Tutto merito delle inchieste e degli arresti che hanno frenato la furia omicida dei boss e posto fine, dopo oltre 10 anni di sangue, a una delle faide più violente della storia della camorra.