Ercolano. I simboli di Napoli la camorra li ha “infangati” quasi tutti. Dai Santi alle Madonne passando per le croci. Tutte icone assorbite dal simbolismo criminale dei mafiosi-devoti. Dei boss che provano a pulirsi la coscienza a colpi di preghiere. Che però i clan potessero arrivare a “infangare” il nome dell’attore più amato di sempre, questo nessuno avrebbe mai potuto immaginarlo.
A Napoli l’attore con la A maiuscola ha un nome e un cognome: Antonio De Curtis, più semplicemente Totò. Un simbolo sacro per i napoletani, quanto la pizza, il sole, il mandolino e San Gennaro. Forse a leggere il suo nome vicino a quello di boss e mafiosi, il principe della risata sarebbe saltato dalla sedia. «Parli come badi» avrebbe ripetuto con lo sguardo severo e il cappello sulla testa, come nelle celebre scena del suo primo film a colori. Questo però non è un film è una storia vera. Un racconto che viene fuori dalle parole di un boss della camorra.
Il protagonista è Luigi Papale, storico padrino del clan nato in provincia di Catania ed emigrato nel Miglio d’Oro per mettere le tende tra Ercolano e Torre del Greco. In un’intercettazione ambientale in carcere, il boss parla con un suo parente e avanza una richiesta che sembra strana anche a lui. «Senti che stavo dicendo….a quel Siciliano gli devo mandare.,… mi dovete mandare un immagine di Totò, Totò lo sai a Totò?». Il siciliano di cui parla Papale – secondo quanto ricostruito dall’Antimafia – sarebbe un uomo (non identificato) che avrebbe conosciuto in carcere, forse un mafioso. Il Totò, invece, non è Riina, il capo dei capi di Cosa Nostra, ma l’attore morto 50 anni fa. Un atto di devozione di un carcerato al più amato comico della storia? Un modo per avere un pensiero felice da cullare nel buio della cella? Macché. A svelare le ragioni della strana richiesta è lo stesso Luigi Papale nel corso del colloquio. «a mezzo busto, oppure una figurina o una cosa che questi dicono che questi si sono “scimuniti” con la testa, dicono che è un simbolo malavitoso».
Il principe della risata, l’uomo che ha portato allegria nella vita di milioni di italiani un’icona della mafia che uccide. Un binomio impossibile anche solo da immaginare e che oggi rappresenta un vero e proprio enigma, anche per gli inquirenti. Potrebbe trattarsi della “follia” di un carcerato, oppure di un simbolo come un altro usato in carcere per affermare la propria appartenenza a un determinato gruppo criminale. Se ci sono dubbi sul fatto che Totò sia o meno considerato un “simbolo” dalle mafie, dalle parole di Papale viene però fuori una certezza che unisce la camorra profana al più sacro dei simboli di Napoli: San Gennaro. Commentando la richiesta del “siciliano” che voleva la foto dell’attore, il boss ammette che tra gli emblemi dei camorristi devoti c’è il santo patrono di Napoli. «Dicono che è un simbolo malavitoso, deve fare un quadro…e io gli ho detto , io so San Gennaro a questo Totò non lo abbiamo mai visto», ripete Papale. Parole che non hanno una valenza penale ma che aprono uno squarcio inquietante sulla camorra e i suoi simboli. Il sacro e il profano si intrecciano. E la devozione diventa spesso un modo per legittimare il proprio potere. Lo raccontano i vicoli. Le strade invase da cappelle altarini abusivi. A Caivano, addirittura, c’è una “cappella” per ogni camorrista che è sventato a un agguato. Un modo per “ringraziare” il santo protettore. Le statue e i santini sono seminati ovunque nella storia delle mafie. Anche nel rione Sanità, lì dove è cominciata la favola di Totò l’attore più famoso e amato di sempre.