Per aprire il portone bisogna scendere giù, poiché il citofono non esiste più. E, a ben pensare, farebbe da contrasto un moderno sistema di comunicazione con la facciata di quell’edificio costruito nel 1406. Ma Palazzo Penne in piazzetta Teodoro Monticelli, al confine tra i quartieri San Giuseppe e Porto, assomiglia più a un girone dell’inferno dantesco che a un gioiello dell’arte quattrocentesca per il quale sono stati spesi 5 milioni di euro. Risorse che – non si capisce – quale risultato abbiano dato. Poiché tutto cade a pezzi, ogni cosa è simbolo di degrado e abbandono e soprattutto ad abitare in quella sorte di “prigione” di epoca rinascimentale c’è rimasta una sola persona. Iolanda Somma ha 76 anni e vive in un vano-sottoscala da quando è nata. «Dopo aver perso la mia famiglia sono rimasta sola – spiega – in questo palazzo che la Regione, che ne è proprietaria, ha ridotto a un rudere invece di riqualificarlo e tutelarlo». La “passeggiata” all’interno dell’edificio è a dir poco allucinante. Dopo aver varcato il portone, si accede ad un ampio cortile dove si fa fatica a scansare sterpaglie e materiali di risulta lasciati dall’ultima ditta che stava eseguendo i lavori. Balconi, finestre e pareti cadono a pezzi. E a salvaguardare quel tesoro che fu la residenza di Antonio Di Penne, segretario e notaio di origini abruzzesi al servizio di re Ladislao D’Angiò Durazzo, c’è l’anziana donna che ha assunto la doppia veste di «custode e prigioniera». «Dato che – dice – ho sia il compito di vigilare su un palazzo dimenticato dalla Regione, sia la condanna di vivere da reclusa in un immobile che non ha nulla di dignitoso in termini di vivibilità». L’appartamento di Iolanda è l’ultimo sulla sinistra in fondo al corridoio, in quello che è a metà tra un primo piano e un ammezzato. Impalcature di legno sono le uniche “opere d’arte” rimaste attaccate alle pareti, perché «tutto il resto lo hanno rubato nel corso degli anni, come un’edicola votiva rimasta dove c’era un dipinto raffigurante Sant’Anna e che ora è vuota». Un monolocale di circa 50 metri quadri, con pavimenti divelti e coperti da una guaina usurata dal tempo, infiltrazioni sui muri e servizi igienici inesistenti: «per usare il bagno devo andare dalla parte opposta del corridoio, dopo l’entrata che conduce ai vecchi appartamenti. Come si fa a vivere in queste condizioni?», si chiede l’inquilina». A farsi portavoce delle istanze della donna è il suo legale, Nicola Vetrano, che lancia un appello a Regione e Comune: «Dopo aver speso milioni di euro per la messa in sicurezza l’immobile versa in uno stato pietoso e l’incolumità dell’unica inquilina rimasta è chiaramente a rischio. Perciò chiediamo alla Regione cosa intenda fare di Palazzo Penne e al Comune di intervenire sistemando la signora – che ha salvaguardato il bene non facendolo finire nelle mani dei privati che volevano costruire un albergo – in un alloggio più dignitoso, poiché il sindaco esercita la funzione di ufficiale sanitario in ultima istanza». Intanto l’ultimo esposto al presidente della Regione Vincenzo De Luca e al sindaco Luigi de Magistris è stato inviato il 23 gennaio scorso dopo l’ennesima caduta di calcinacci e intonaco da Pino De Stasio, consigliere della II Municipalità, che segue da anni la questione: «Giorno dopo giorno osservo impotente il degrado del Palazzo – scrive De Stasio -. Ho segnalato più volte la gravissima condizione statico-strutturale-estetica dell’edificio, uno die pochi esempi di architettura civile di epoca rinascimentale della nostra città. La precedente amministrazione regionale aveva messo in bilancio 13 milioni di euro per il recupero e il restauro. Inoltre Iolanda Somma è l’ultima custode di questo gioiello che sembra ormai perduto».