La faccia è cupa. Gli occhi sono spenti. La barba è leggermente incolta e sembra quasi pesare una tonnellata su quel maglioncino scuro proprio come il cuore di chi lo indossa. Giuseppe Tito dà un’ultima boccata alla sua sigaretta, l’ennesima della mattinata passata senza leggere i giornali. Saluta un impiegato, poi un altro. Ed entra in municipio. Sono le 9 e 22. Non parla, non sorride, non dice nulla. Resta in silenzio e saluta a stento con un cenno timido chi lo cerca con lo sguardo per dargli coraggio. «Forza Peppe, ne uscirai a testa alta». Poi raggiunge l’ufficio di Deborah De Riso, il nuovo segretario comunale.
Gli amici al suo fianco
Il day-after all’esplosione della bufera che lo vede in cima alla black list delle tangenti contestate dalla Procura di Torre Annunziata e dalle fiamme gialle di Massa Lubrense è un calvario di amarezza. Tito sa che nulla può essere come prima, è consapevole che l’onta della corruzione che si annida sul capo di un fedelissimo Pd «pesa di più». Proprio come ricorda lui a un amico che tenta di rincuorarlo. Ma c’è da lavorare, c’è da rimboccarsi le maniche. E’ in contatto con il suo pool di avvocati, registra anche le sensazioni a pelle di chi gli è accanto. Avverte che nulla sembra incidere più di tanto. E che è soltanto all’inizio della partita più difficile della sua carriera politica.
La linea politica
Tito è tentato dalle dimissioni. Ma non le dà. Non ci pensa molto, non vuole dare la dimostrazione di ammettere una colpa. E intende capire prima se finirà o meno a giudizio. Solo a quel punto farà una riflessione. Perché lui, «il sindaco del popolo», si sente innocente. E vuole dirlo, dimostrarlo, urlarlo alla gente come quando per una manciata di voti, tre anni fa, coronò il sogno di diventare sindaco battendo l’ex vicesindaco Antonella Viggiano.
Nulla è più come prima
Il sindaco resta in trincea, le ore passano veloci. Una pausa rapida a pranzo, quindi ancora al Comune. Alla spicciolata arrivano di nuovo i suoi adepti, consiglieri di maggioranza e assessori. Si convoca una riunione plenaria, «facciamo giunta» dicono nel corridoio del municipio. Le porte della sala-regina si chiudono, si discute, si parla a viso aperto. Tito accarezza l’idea di fornire più peso alla sua squadra, soprattutto dopo che è passato un altro giorno con una giunta priva dei comandi, per certi versi ridimensionata agli occhi degli elettori. Gli assessori sono senza deleghe, Tito sfoglia la margherita e allora spinge sull’acceleratore. «Ok, ripartiamo». Tant’è che già nelle prossime ore potrebbe firmare i decreti con cui riassegnerà tutto ai “legittimi” proprietari. Aveva scelto di incanalarsi nella strada di un rimpasto mascherato e adesso si ritrova alle strette. Un treno che viaggia veloce verso un interrogatorio fondamentale e che non si fermerà alla stazione del tesseramento cittadino del Pd di domenica prossima.