Torre del Greco. «Non sono stato un padre esemplare, ma mio figlio non è un camorrista né uno spacciatore. Ha sempre lavorato, la sua unica passione è il Napoli». Le parole di Maurizio Garofalo – il king of narcos di vico Abolitomonte – spezzano il silenzio dell’aula bunker di Poggioreale. Collegato in videoconferenza dal carcere di Terni, l’ex colonnello del clan Falanga chiede di intervenire per una dichiarazione spontanea: il suo lungo racconto – capace di catturare l’attenzione del gup Luisa Toscano del tribunale di Napoli – spazia dall’ambito familiare al “business-droga” contestato dall’Antimafia. «Quando sono uscito dal carcere – la premessa del pluripregiudicato noto come ‘o pulliere – il clan Falanga era già praticamente azzerato».
Di qui, la scelta di organizzare – insieme a Giuseppe Pellegrino, poi pentito – una holding a gestione familiare per inondare di sostanze stupefacenti le piazze di Torre del Greco. «Ma mio figlio non c’entra, non era al corrente dei miei affari – la difesa di Maurizio Garofalo – La dimostrazione sono proprio i suoi viaggi a Torre Annunziata per acquistare le dosi di hascisc».
Viaggi costati al ventisettenne a un passo dal matrimonio sia l’accusa di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio sia l’accusa di detenzione di arma da fuoco. Perché nelle intercettazioni catturate dagli investigatori Antonio Garofalo, davanti allo stadio Giraud, si vanta di avere una pistola calibro 9 nella cintola dei pantaloni.
Un’arma mai ritrovata dagli investigatori per un motivo semplice: «Perché non esiste alcuna pistola – le parole dell’ex colonnello del clan Falanga, assistito dall’avvocato Gennaro Ausiello – La calibro 9 di cui parla mio figlio è un tatuaggio all’altezza del ventre, come quello del suo idolo calcistico Ezequiel Lavezzi».
Un marchio sulla pelle, pagato con l’arresto e un pesante capo d’imputazione: «Non ha mai impugnato un’arma in vita sua – ribadisce Maurizio Garofalo al gup Luisa Toscano durante la sua lunga deposizione – così come estranee all’organizzazione criminale sono mia moglie Franca Magliulo e la mia socia Raimonda Sorrentino. Erano semplici casalinghe, costrette a sopportare i miei attacchi d’ira provocati dalla scomparsa dei soldi dalla cassa gestita da Giuseppe Pellegrino».
Al termine delle dichiarazioni spontanee del king of narcos, l’avvocato Gennaro Ausiello ha chieso l’assoluzione dall’accusa di associazione a delinquere per Franca Magliulo e l’assoluzione piena per il figlio Antonio Garofalo. A metà mese è attesa la sentenza di primo grado.
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