“Ero da solo, sono stato spintonato. Un ragazzo si è nascosto dietro di me e mi hanno sparato al piede”.
Continua a piangere davanti ai poliziotti del commissariato di Torre Annunziata il 18enne dichiarando la sua estraneità a quanto è successo. Sotto torchio per due ore, centoventi minuti per raccontare la sua verità che però non convince ancora del tutto gli investigatori. Usato come scudo, in una normale serata che si è trasformata in un inferno per lui e per tutti quei ragazzi che erano presenti in via Gino Alfani, la “curva” l’unico ritrovo della movida cittadina. Ricostruisce, sotto le domande incalzanti, minuto per minuto ogni suo movimento. “Stavo camminando, dovevo tornare a casa”. Indossava un berretto, giacca di pelle nera, t-shirt bianca, stile da rapper tipico dei teenegers della sua età, aveva appena salutato gli amici con i quali aveva trascorso la serata “non ricordo il volto di quel ragazzo so solo che mi ha spinto, è spuntato improvvisamente, credevo volesse rubarmi il cellulare ma mi ha immobilizzato per nascondersi dietro di me”. E ancora: “è durato tutto un attimo, credetemi, non ho capito nulla, ho solo sentito che urlava e poi il colpo al piede”. A sparare uno dei due sicari che era in sella allo scooter con il volto coperto: a tirare la pistola dalla cintola il passeggero che era deciso ad uccidere. “Ho urlato cercando di liberarmi ma sono stato bloccato e il sicario che stava davanti a me ha sparato verso il basso, e questo è il risultato”. Indica il piede sinistro e scoppia in lacrime. Un ragazzo tranquillo, nessun grillo per la testa, studente al suo ultimo anno alle superiori e incensurato, proprio come i suoi genitori. Chi li conosce li descrive come una famiglia assolutamente tranquilla. “Non so chi mi ha sparato, credetemi, voglio solo tornare a casa – e rassegnato continua – non esco più”. E’ intimorito, pallido, negli occhi ancora il terrore di quegli interminabili istanti di follia. Una follia di cui è stato vittima inconsapevole. A tratti le parole gli si bloccano in gola. Si ferma, riflette, rivive nella mente la paura. Per lui diventa difficile ricostruire l’episodio fornendo elementi utili ai poliziotti. Rivivere quegli attimi che invece vorrebbe solo dimenticare è però necessario per aiutare gli investigatori a capire chi ha sparato e perché. “Ho chiesto aiuto, alcuni ragazzi si sono fermati, altri sono andati via: il sangue mi ha fatto spaventare ancora di più e mentre provavo a chiamare mio padre mi sono trascinato zoppicando alla macchina, volevo andare via – e ancora – dopo i colpi il ragazzo che mi aveva usato come scudo è sparito, dirigendosi verso il porto”. La stessa versione l’ha fornita anche ai medici dell’ospedale che lo hanno operato.