Castellammare. «Ma noi non abbiamo potuto fare 3-400 euro, io tengo 2 euro e 50 in tasca, fratello (…) Ma dove li prendo 6-700 euro, ma fosse Iddio potessi farli, direi Giovà prendetene 600 voi, me ne tengo 100 euro per lo meno mangio… dove li prendo?». Vincenzo Melisse, alias Enzuccio taccarella 51enne stabiese di Ponte Persica, risponde così a Giovanni Esposito, 55 anni di Pozzuoli, che gli chiede un prestito di «600, 700 che lunedì te li ridò». Da due giorni sono entrambi in carcere con l’accusa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti nell’ambito dell’inchiesta “Bambasa” coordinata dalla Dda di Napoli e condotta dalla Gruppo Operativo Antidroga della Guardia di Finanza di Salerno, per cui sono scattati 8 arresti, su un carico di trenta chili di cocaina partito dall’Ecuador, transitato per il porto salernitano e sequestrato in Turchia nello scalo di Ambarli il 29 aprile 2015.
La ricerca di soldi
E’ il 14 maggio 2015 quando si svolge quella conversazione. Il gruppo a cui Esposito e Melisse, ricostruisce il gip Isabella Iaselli del Tribunale di Napoli, in quel momento è alla disperata ricerca di denaro per finanziare un secondo viaggio in Bulgaria. La nave aveva come destinazione finale proprio un porto di quel paese dell’Est, quello di Burgas, con data prevista d’arrivo il 2 maggio. In Turchia viene sequestrata solo la sostanza stupefacente. La nave riparte. Senza il “prezioso” contaneir. Ma il gruppo che ne attende l’arrivo ed è incaricato del recupero della droga non lo sa. Sa solo che deve recuperare il carico che era già “sfuggito” di mano in Italia, al porto di Salerno.
In Italia
Gli uomini del Goa ricostruiscono l’intero viaggio del container “incriminato” che ha fatto tappa a Salerno l’otto gennaio 2015 a bordo della motonave Allegro proveniente dal porto di Guayaquil in Ecuador. Lì sarebbe stato più facile recuperare il carico per il gruppo incaricato composto, secondo gli inquirenti, da Giovanni Esposito, Vincenzo Melisse e i suoi cugini Garofalo Edoardo e Giovanni Piedepalumbo, entrambi stabiesi e ora agli arresti domiciliari. Ma qualcosa va storto e il gruppo non riesce a recuperare la droga che in quel caso sarebbe stata nascosta nel vano motore. C’è bisogno di tempo e organizzazione per seguire il viaggio della nave. E anche dei contatti giusti nei porti dove attraccherà per poter agire indisturbati. Il gruppo li individua nella tappa finale e, mentre la nave fa scalo in Danimarca e Germania prima della Turchia, si organizza per andare in Bulgaria.
Il primo viaggio
Il 5 maggio in Bulgaria arriva Edoardo Garofalo. La cocaina è nelle mani dell’autorità turche già da sei giorni. Lui non lo sa e non sa neanche di essere intercettato. Gli investigatori lo sentono parlare di un lavoro che deve fare: il recupero di una “macchina”.. Dopo due giorni rientra ma non si fa sentire né con il cugino Melisse né con Esposito. Solo dopo due giorni racconterà di «un problema capitato “da quell’altra parte”» e spiegherà che è necessario fare un altro viaggio.
Il secondo viaggio
Stavolta parte Giovanni Esposito che vorrebbe portare con sè Garofalo. Lui, però, non può. Esposito dice di non volersi assumere la responsabilità di acquistare “tutta questa roba”. E’ a corto di liquidi, tra il 14 e il 15 maggio chiede di essere finanziato. Al recupero sono interessati anche l’82enne Giuseppe Esposito originario di Castellammare ma residente a Ottaviano (ora con obbligo di dimora) e Giuseppe Caputo di Vietri sul mare ora in carcere. Il viaggio si fa. In Bulgaria sarà un certo “Pietro”, identificato in Petar Gadjev, a fare da supporto. Ma la cocaina non c’è più.