Ennesimo colpo di scena a Meta. Il sindaco Giuseppe Tito ha deciso di azzerare la giunta. Resta in carica soltanto Pasquale Cacace, un fedelissimo della prima ora, vicesindaco blindato. Revocato l’incarico nei confronti degli assessori Angela Aiello, Biancamaria Balzano e Massimo Starita. Le bocche restano cucite e i decreti sono stati pubblicati oggi sull’albo pretorio. Non è un mistero: il Comune di Meta è un’autentica santabarbara. E nulla c’entrano le temperature infernali di fine luglio. Amministratori, funzionari e dipendenti sono sotto pressione perché nel mirino di inchieste esplosive, accuse inquietanti, intrecci politici, magari pure corvi. Sono cinque mesi che in municipio si va avanti con il timore di nuovi guai giudiziari e gli attacchi traversali del Movimento Cinque Stelle, i cui senatori hanno chiesto l’intervento del Viminale, non fanno altro che far salire ulteriormente l’asticella della tensione. E’ un magma incandescente che può pregiudicare la tenuta di un’amministrazione eletta appena tre anni fa al motto di “Patto per Meta” e che adesso accarezza pure l’intenzione di voler passare la mano. Basti pensare al post sibillino del sindaco Tito che dopo mesi di silenzio ha aperto alla possibilità di dimettersi, salvo poi rilanciare per la gioia dei fedelissimi.
L’inchiesta Tito-gate
L’inferno giudiziario a Meta esplode a metà febbraio quando la guardia di finanza notifica numerosi avvisi di conclusione delle indagini preliminari. Sotto accusa c’è anche il primo cittadino Tito, fresco di elezione al consiglio della Città metropolitana di Napoli. Lui, «il sindaco del popolo», si vede sequestrare 15mila euro e viene bollato dalla Procura di Torre Annunziata con parole di fuoco, è descritto come un politico che ha intascato tangenti, che ha manovrato gare d’appalto, che ha favorito imprenditori-amici. E la richiesta d’arresto, respinta sia dal Tribunale del Riesame di Napoli che dalla Corte di Cassazione, ferisce più di una coltellata alle spalle. Tito inizia a difendersi, è sicuro di uscirne pulito e va avanti. Ma non va tutto liscio. Neppure il tempo di tirare un sospiro di sollievo che la Procura chiede il rinvio a giudizio per tutte le ipotesi di reato inserite nell’avviso di chiusura delle indagini.
Il caso Giosuè a mare
A metà primavera viene a galla la patata bollente delle due ordinanze di demolizione emesse dal Comune di Meta sull’hotel Giosuè a mare. Si tratta dell’albergo della famiglia del sindaco il quale risulta comproprietario dell’immobile. Partito dieci anni fa, l’iter per l’acquisizione delle camere abusive della struttura non è chiuso, il caso attira l’attenzione della Procura e dell’opinione pubblica fino allo scorso maggio quando il funzionario dell’area Urbanistica Diego Savarese firma l’acquisizione a patrimonio comunale di tre camere. «Ora basta, vicenda chiusa. La procedura è trasparente» ringhia Tito. Eppure, notizia di venerdì, il fratello del sindaco, Giosuè Tito – comproprietario dell’edificio così come il primo cittadino – presenta ricorso al Tar della Campania. Impugna l’acquisizione e potrebbe anche vincere il contenzioso perché sia a lui sia al fratello-sindaco (così come agli altri comproprietari) l’atto risulta sconosciuto. Nei fatti: ufficialmente nessuno ha mai notificato loro la nota dei vigili che accertava l’inottemperanza all’ordine di ripristino dello stato dei luoghi. A ciò si aggiunge la questione di una seconda ordinanza revocata solo pochi giorni fa per tre vetrate della zona ristorante che ampliavano volumetrie dell’hotel.
I box e il vicesindaco
A rendere ulteriormente incandescente l’atmosfera a Meta è il Wwf Terre del Tirreno che si è rivolto alla Procura di Torre Annunziata per invocare l’apertura di indagini su 33 box auto da realizzare in un giardino. Quale? Quello di corso Italia di proprietà della società SO.GE.PA. che tra i soci annovera Cacace, vicesindaco delegato al Corso pubblico e alleato storico di Tito.
Bufera sull’assessore
Senza dimenticare il capitolo dedicato all’avvocato Balzano, promossa in giunta a metà mandato e che oggi si è vista revocare l’incarico. I grillini ripescano una storia di abusi edilizi e ordinanze di ripristino dello stato dei luoghi pendenti sul capo dell’alleata di Tito. Fu così che viene riportato alla ribalta il caso del manufatto insistente anche su una particella comunale inserita nel piano di alienazione immobiliari approvata dal consiglio comunale.
Grillini infuriati
Tutto questo contesto fatto di indagini, sospetti e denunce ha portato il gruppo dei senatori del Movimento Cinque Stelle a chiedere al ministro dell’Interno Marco Minniti e dalla collega della Pubblica amministrazione Marianna Madia chiarezza sulle condizioni in cui opera l’amministrazione di Meta e valutare se sollecitare ulteriori indagini magari che possano sfociare nel commissariamento dell’ente.
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