Torre del Greco. Il volto resta segnato dalle schegge di vetro volate durante il terribile schianto frontale con lo scooter, la voce è ridotta a un filo sottile, gli occhi si sbarrano al ricordo della notte da incubo vissuta sulla Napoli-Salerno. «Sono vivo per miracolo, ma non potrò mai dimenticare l’inferno vissuto in autostrada», confessa con lo sguardo perso nel vuoto. Come a ripercorrere, frame per frame, il film dell’orrore andato in scena lo scorso fine settimana. Antonio C., 25 anni, venerdì scorso era solo alla guida del suo Suv Mercedes GLE: il figlio di un noto imprenditore di Torre del Greco aveva imboccato l’autostrada al casello di via Sant’Elena e avrebbe dovuto raggiungere l’uscita di Pompei per una tranquilla serata in compagnia di amici.
Lo schianto in autostrada
Ma alla reunion con la sua comitiva non è mai arrivato, perché il suo destino si è intrecciato con quello di un’anima in pena con l’espressione segnata dalla sofferenza: il centauro che lo stesso pomeriggio aveva rubato lo scooter di un barbiere di Castellammare e, dopo aver girato senza una meta per diverse ore, aveva deciso di porre fine alla sua vita imboccando l’autostrada contromano con l’acceleratore spinto al massimo. Un suicidio-kamikaze consumato tra sangue e asfalto, costato la vita al quarantenne Tullio Verdoliva – già in passato protagonista di analoghi episodi – e rimasto impresso come un macigno nella testa del venticinquenne di Torre del Greco. «Solo ora ho razionalizzato cosa è accaduto quella sera – racconta Antonio -. I fotogrammi dell’incidente mi si ripropongono continuamente nelle mente: ero al volante della mia auto, fortunatamente viaggiavo da solo quando all’improvviso mi è sbucata davanti una luce».
La ricostruzione da incubo
E’ stato un attimo. Il fascio di luce si è schiantato contro l’auto, dando il via a un terribile testacoda. «Ho capito che dovevo abbandonare la macchina perché si intravedevano le fiamme dal motore – racconta a fatica, i tagli visibili sul suo volto lasciano poco spazio alla fantasia -. Sono fuggito via dal finestrino del lato passeggero, perché dal lato del guidatore era tutto distrutto e la portiera era bloccata dal guardrail. Appena sono uscito dall’abitacolo, intorno a me ho visto solo fumo: ero confuso, abbagliato, impaurito e impietrito. Non avevo minimamente compreso cosa fosse accaduto». Sul posto sono subito intervenuti gli agenti della polizia stradale: «Un poliziotto mi ha chiesto dove fosse lo scooter e dove fosse il conducente – ricorda Antonio – ma in quel momento non riuscivo a capire a cosa si riferisse precisamente. Poi ho ripreso lentamente coscienza e mi ha raccontato cosa era successo: non ci potevo credere. Così ho iniziato la ricerca dello scooter e del motociclista insieme agli agenti: abbiamo camminato lungo la corsia, ma non c’era nessuna traccia né dell’uno né dell’altro».
La scoperta shock
Dopo una decina di metri, la scoperta-shock: «Abbiamo scorto qualcosa, era un braccio – il racconto di Antonio -. Ho chiesto di andare via, non ce l’ho fatta. Ho saputo solo in un secondo momento che lo scooter era finito sotto la mia auto e perciò non si riusciva a trovare. Così mi hanno portato in ospedale, dove per un’intera notte ho dovuto fare tutti gli esami dal sangue ai capelli». Esami tutti negativi, al punto da convincere gli investigatori a restituire immediatamente la patente al venticinquenne: «Non bevo neanche una birra, perché sono consapevole dei rischi che si corrono quando ci si mette al volante», sottolinea il venticinquenne. Uscito miracolosamente indenne da una tragedia che avrebbe potuto uccidere non solo il motociclista di Castellammare: «Sono rammaricato per l’accaduto, una disgrazia incredibile. Fortunatamente guidavo un’auto alta, altrimenti le mie condizioni oggi sarebbero nettamente più gravi». Il fisico, a parte i graffi sul viso, resta intatto. Qualcosa in testa, invece, inevitabilmente resta. Qui si ferma il racconto choc di una vicenda capace di sconvolgere due città.