Ricordo come fosse ieri la prima volta che incontrai Yasser Arafat. Eravamo a Napoli, in Prefettura, e c’era anche l’allora presidente del Consiglio, Romano Prodi. Fu un incontro lungo, molto cordiale. Al momento di ripartire, Prodi mi chiese di accompagnarlo in aeroporto. Scendendo le scale del palazzo della Prefettura mi venne spontaneo chiedergli se voleva fare una passeggiata a via Toledo, lui mi guardò e accettò senza battere ciglio. Era circondato da un esercito di guardie del corpo e lui fece in modo di tenerle a distanza per quei quattro passi in relativa libertà. Diede il suo ordine con tono perentorio e le guardie del corpo si schierarono ai lati della strada. Passammo davanti al Gambrinus, proseguimmo per un tratto di via Roma. Ricordo la gente che si fermava a guardare, incuriosita e stupita. Arafat era come tutti lo vedevano in televisione e ovviamente aveva la sua kefiah le guardie del corpo erano tesissime, a me sembravano sul punto di impazzire. Arafat però era tranquillo, incantato da quel pezzo di Napoli. Di lui conservo ancora una bellissima foto che ci scattarono al centro di piazza Trieste e Trento, prima di salire in auto in direzione dell’aeroporto. Fu un viaggio breve e blindato. Quando arrivò ai piedi della scaletta, prima di partire, invitò me e Annamaria a Betlemme. Così, come fossimo vecchi amici. Yasser Arafat era così, una persona forte nella sua semplictà. Uno che quando parlava guardava diritto negli occhi. E forse, quando andai a trovarlo pochi mesi prima che morisse, vedere quello sguardo perso nel vuoto fu la cosa che mi colpì più di tutte le altre. Era il 2000 quando mi recai a Betlemme, ricordo che non gli permisero di arrivare nella Basilica per la messa di Natale e ricordo che i palestinesi reagirono posando la kefiah sulla sedia in segno di protesta per quel permesso negato. Il giorno dopo mi recai a Ramallah, lui era scosso e dispiaciuto. Io lo ricordo ancora con grande rispetto, ed è giusto parlarne ancora oggi, nel tredicesimo anniversario della sua morte. Yasser Arafat è stato un grande protagonista della vita politica internazionale, e ogni volta che mi fermo a ricordarlo mi piace immaginare che un giorno si realizzi il sogno della coesistenza tra i due popoli e due Stati, mi piace immaginare che sia possibile costruire quel percorso di pace in Medio Oriente.
M|CULT
11 novembre 2017
Quando Arafat passeggiava in via Toledo