«Un varo è come un parto. La nave scivola sullo scalo come un neonato si tiene al cordone ombelicale. E quando è in acqua si può gioire, piangere ed esultare».
Giovanni Maresca è un operaio Fincantieri oggi in pensione. Per 42 lunghissimi anni ha varcato quel cancello. «Ci sono entrato coi calzoni corti, come perito naval meccanico. Ci sono uscito da responsabile saldature: quello che prima di un varo, per intenderci, controlla tutti i punti di fusione», commenta con un pizzico d’orgoglio. In mezzo venti anni di rappresentanze sindacali: di conflitti, guerre e mediazioni per dare un futuro allo stabilimento di Castelllammare. Quando parla del cantiere è come se parlasse di un pezzo del suo cuore, della storia della sua vita.
Quando ha saputo di quel varo nel silenzio non ha trattenuto le lacrime. Un ricordo lontano i guanti degli operai che, in lacrime, salutano lo scafo che va in acqua. Ieri solo uno striscione, freddo ed asettico, per ribadire la distanza tra le maestranze e i vertici dell’azienda.
«Un varo senza operai è triste: diventa solo la fotografia di un pezzo di ferro che scende in acqua. Non c’è poesia, non c’è la forza morale del lavoro – commenta Giovanni Maresca – ma capisco i miei colleghi, li comprendo. E’ venuto il momento in cui la politica dica chiaramente da che parte sta. Se con gli operai per il futuro del nostro cantiere che è la nostra storia o contro chi lavora in questo stabilimento».