Prima voleva ‘scassare tutto’ e forse effettivamente per certi versi a Napoli ci è anche riuscito. Poi stanco di quella fascia tricolore, che gli stava così stretta da gettarla all’aria già alla proclamazione del suo secondo mandato, da sindaco Masaniello ha deciso che sarebbe diventato leader nazionale. Da naufragata rivoluzione ‘arancione’, quella di Luigi de Magistris era già diventata un’accozzaglia ‘arcobaleno’. Sulla nave deMa imbarcati un po’ tutti, da ex della destra fino ai comunisti, con il vento in poppa dei centri sociali. Per salpare in direzione Roma, il grande salto: trasformare deMa da associazione in movimento politico, al timone il fratello Claudio. Prima furono le acque di Ingroia (rivelatesi una palude), poi Podemos. Al grido di ‘Renzi cacati sotto’, l’ex pm stavolta ci credeva davvero che sarebbe arrivato fino al tempio romano. La strategia di ‘derenzizzazione’ stava dando i suoi buoni frutti, aveva conquistato la scena nazionale. Ritagliandosi uno spazio da leader: de Magistris che combatte contro il premier che affama le città metropolitane, contro i sistemi forti dai partiti alle massonerie deviate. Contro la Tav, la Tap. Contro tutto. Per il Popolo. “Il Che in salsa partenopea”, come lui stesso sognava di diventare. Napoli, la sua Cuba minacciata dall’embargo del default. “Città Autonoma”, ma senza soldi. “Città dell’amore”, ma pronta a scagliare sassi all’arrivo di Renzi e dei suoi ministri. Un delirio. E tale è rimasto. Perché quel sindaco col sogno di diventare leader “potrei candidarmi a premier” disse qualche mese fa, a Roma è riuscito ad arrivare, ma soltanto per bussare alla porta dei ministeri per evitare il crac. Altro che “Non andiamo col cappello in mano”. E altro che “non mi siederò mai alla cabina di regia per Bagnoli”. Alla fine il Masaniello è diventato sindaco del ‘dialogo’. E il suo movimento che da Napoli avrebbe dovuto conquistare il Parlamento ed il mondo intero si è fermato lì dove è nato, all’ex Domus Ars di Santa Chiara. Alle Politiche non si è manco affacciato, sebbene dicesse che non sarebbe rimasto alla finestra. Nessun candidato. E nessuna alleanza. Perché anche il suo movimento mondiale, deMa, si è spaccato. Così nessun accordo politico ufficiale per cercar nel caso di giocare quel minimo di partita almeno su più fronti. Il leader di Palazzo San Giacomo tenta disperatamente di ricostruirsi un ruolo in questa campagna elettorale. Prima attaccando Paolo Siani per aver scelto il partito democratico, poi i parlamentari “che non hanno fatto nulla per Napoli in cinque anni ed ora si candidano in città. Vergogna”, poi il Pd che ha fatto “resuscitare Silvio Berlusconi”. Intanto strizza l’occhio a Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani e telefona a Piero Grasso, perché non si sa mai. Ma guarda contemporaneamente “con interesse a quei folli di Potere al Popolo” che in gran parte l’hanno scaricato e che al contrario hanno una loro lista per il 4 marzo. “Trovo un’assenza a dir poco inquietante – ha detto ieri – quella del tema della questione morale, della lotta alla corruzione, alle mafie e alla camorra nella campagna elettorale”. “Da parte di alcuni non mi meraviglia, se metti in lista persone che non hanno un pedigree di potabilità morale tale da contrastare in maniera efficace quel sistema criminale. Però che l’argomento scompaia dal dibattito, anche da parte di chi non ha nessun contatto con quegli ambienti e dovrebbe farsi portatore di un modo diverso di fare politica, la dice lunga”. Ancora un tentativo, disperato, di esserci in qualche modo in queste Politiche, di tornare protagonista sulla scena nazionale. Mentre la sua nave deMa da Montecitorio dirotta sperando di arrivare a Palazzo Santa Lucia. Almeno.
politica
10 febbraio 2018
De Magistris, sognava la rivoluzione. Ridotto a fare il critico