Sara aveva 36 anni e due bambine, una di quattro e l’altra di appena 14 mesi. Nessuna malattia, niente che lasciasse presagire che la notte del 3 giugno 2015 sarebbe stata l’ultima per lei. Eppure, quel maledetto martedì notte, morì nel suo letto, nella casa in cui abitava con la sua famiglia, il marito e le due bambine, a Pompei. Inutili tutti i tentativi di salvarla: quando i medici del servizio 118 arrivarono nell’appartamento di via Lepanto, Sara era già morta. Non poterono fare altro che constatarne il decesso, e segnalare l’accaduto alle forze dell’ordine. Che su quella tragedia – la morte improvvisa, inspiegabile, di una giovane donna – aprirono anche un fascicolo di indagine. Ovviamente coperto dal massimo riserbo, oltre che dal segreto istruttorio. Ma da quella terribile notte di giugno del 2015 sono passati quasi tre anni, oltre mille giorni. E la famiglia originaria di Sara Aiello – conosciutissima a Pimonte e ad Agerola, dove vivono gli anziani genitori e i quattro fratelli, tutti più grandi di lei – attende una risposta, quale che sia, che ancora non arriva.
Ed è per questo che a distanza di tempo, in cui con compostezza e riservatezza ha vissuto il proprio terribile lutto, ha deciso adesso di rompere il silenzio.
E di lanciare un appello, direttamente ai vertici della procura di Torre Annunziata: «Vogliamo una risposta, qualunque essa sia – spiega Raffaele Aiello, fratello di Sara – non intendiamo in alcun modo interferire con il lavoro della procura, ci mancherebbe. Tuttavia noi fratelli riteniamo doveroso, per rispetto nei confronti dei nostri anziani genitori, lanciare un appello alla sensibilità del procuratore capo dottor Alessandro Pennasilico e del procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli, affinché prendano a cuore la nostra tragedia. Sappiamo bene che niente e nessuno potrà mai riportare in vita la nostra amata Sara, ma non onoreremmo la sua memoria se lasciassimo che il silenzio avvolgesse la sua scomparsa. Abbiamo bisogno di continuare ad avere fiducia nella giustizia.
Sono passati oltre mille giorni da quella notte, c’è un’indagine in corso da quasi tre anni, di cui non conosciamo gli esiti. Non pretendiamo di sostituirci alla magistratura, ma soltanto di sapere se esistono o no, anche solo a livello di sospetto, eventuali responsabilità per quello che è accaduto. Solo così i nostri anziani genitori e noi familiari potremo metterci l’animo in pace e accettare la scomparsa di una sorella. Una ragazza, una moglie e una madre, solare, piena di gioia di vivere e di positività. La sua scomparsa è stato un colpo da cui è impossibile riprendersi, troppo duro da accettare. Almeno fino a quando sussisterà il dubbio che in qualche modo si sarebbe potuta evitare. Ecco, noi chiediamo solo di sapere se quel dubbio esiste o non esiste. E questo non sta a noi stabilirlo, ma a chi da quasi tre anni indaga su quello che è accaduto quella notte».