Racconti – Prima di compiere il volo dalla cavalcavia, Bove era stato un eccellente poliziotto: una carriera in prima linea, con esperienze anche al commissariato di Castellammare di Stabia e alla Direzione investigativa antimafia. Poi aveva appeso la divisa al chiodo per andare a lavorare alla Security della Telecom. Un lavoro delicato, considerando la gigantesca mole di dati che passava dal colosso delle telecomunicazioni. Un impegno di grande responsabilità affrontato con la consueta professionalità. Ma agli inizi del 2006 il nome di Bove era finito sui giornali nell’ambito di una inchiesta condotta dalle procure di Milano e Roma su una serie di intercettazioni fuorilegge che qualche “spione” che lavorava per la Telecom aveva compiuto monitorando personaggi del mondo dell’industria, delle Istituzioni e finanche dello Sport. Per i magistrati milanesi e romani, le informazioni raccolte illegalmente sarebbero state poi utilizzati per confezionare dei dossier da utilizzare, eventualmente, come arma di ricatto. Una brutta storia nella quale erano rimasti invischiati un paio di dirigenti della Telecom, titolari di importanti agenzie d’investigazione private, rappresentanti dei Servizi ed esponenti delle forze dell’ordine. E un pezzo di questa brutta storia aveva portato dritto all’ufficio in cui lavorava Bove, tant’è che il suo capo era finito sotto inchiesta. L’ex poliziotto, che non risultava indagato, era rimasto piuttosto impaurito per quel che era accaduto sotto il suo naso. E c’era rimasto male, e tanto, soprattutto quando un quotidiano aveva lasciato ad intendere che lui non era era estraneo al giro di intercettazioni abusive. Dirà il fratello Gugliemo: «In giugno un quotidiano pubblicò un articolo che lo fece impazzire. Una fonte che vorrei tanto scoprire aveva detto al giornalista che un’indagine interna di Telecom lo avrebbe chiamato in causa in una vicenda di tabulati acquisiti illecitamente. Lui sapeva che era un’accusa gratuita e infondata, ma il fatto di ve- dere citato ingiustamente il suo nome in mezzo a storie di spioni e banditi, lo aveva prostrato. Certamente fu dopo quell’articolo che cominciò a pensare che qualcuno stesse tramando contro di lui, per farne un capro espiatorio da dare in pasto alla stampa».La notizia riportata dal giornale aveva turbato pure i suoi familiari, ai quali ricordava che non aveva vissuto un periodo così difficile neppure quando inseguiva i camorristi latitanti. Nonostante fosse sotto pressione, era sostanzialmente rimasto però quello di sempre: amante della vita, forte nell’affrontare qualsiasi avversità.Ma la mattina del 21 luglio del 2006 Adamo Bove, all’epoca 42enne, si era messo al volante della sua Mini grigio-metalizzata ed aveva imboccato la Tangenziale per fermarsi all’altezza dello svincolo dell’uscita Vomero. Aveva accostato l’auto lasciando accese le quattro frecce, poi era sceso dalla vettura, aveva scavalcato il guard-rail e si era lanciato di sotto, morendo sul colpo dopo un volo di una ventina di metri. Uno choc inimmaginabile per la moglie e la famiglia, presi assolutamente in contropiede da un gesto che non era stato preceduto da alcun segnale di cedimento nervoso. E poi Bove non aveva lasciato né una lettera né nient’altro per spiegare il suo gesto. Possibile che avesse preso all’improvviso la decisione di uccidersi? Possibile. La Procura di Napoli aprì un una indagine nella quale si ipotizzava il reato di istigazione al suicidio. Ma chi avrebbe potuto istigarlo? E perché? Interrogativi privi di risposte. Fin da quando il cadavere dell’ex poliziotto era ancora caldo, i familiari manifestarono i loro dubbi. Secondo la moglie Amanda Acampa, Adamo non si sarebbe mai potuto suicidare: «Era un uomo forte ed equilibrato che amava spasmodicamente la sua famiglia. Non posso credere che abbia concepito un simile pensiero. C’è solo una remota possibilità: se avesse avuto la certezza, non il pensiero astratto, ma la certezza di un pericolo per me o per i suoi, forse potrei pensare a un gesto di così tanta forza. Altrimenti, assolutamente no..(…) Adamo quel giorno era un po’ teso come sempre negli ultimi tempi. Stava affrontando un periodo lavorativo difficile e non ne parlava molto perché, come ha sempre fatto, voleva salvaguardarmi. Comunque non era una situazione insolita per lui. Adamo poteva contare su una forza interiore che è difficile far percepire a chi non lo ha conosciuto».Ad alimentare le perplessità erano stati alcuni episodi avvenuti nelle settimane precedenti: Bove era stato più volte pedinato da persone che si erano fatte vedere apposta proprio per spaventarlo. Racconterà la moglie: «La sera uscimmo e notammo che, sempre allo stesso punto, vicino casa, vi era un altro ragazzo, sempre con capelli corti e marsupio. Andammo al bar e, al ritorno, notammo un altro ragazzo, dagli atteggiamenti come i precedenti, e poi incrociammo il ragazzo che avevamo visto sotto casa in compagnia di altri due. Dopo queste circostanze, lui si era convinto di essere seguito ». Pure il fratello Gugliemo rivelò un episodio analogo: «Poco prima di morire mi disse che era pedinato da persone molto strane, molto sospette, che sembrava volessero spaventarlo. Non mi disse che pensava di essere pedinato: mi disse che ne era certo, perché li aveva visti. Adamo era stato per 20 anni un grandissimo poliziotto ed è veramente difficile pensare che potesse sbagliarsi. Mio fratello mi disse che ogni volta che usciva, c’era qualcuno sotto casa ad aspettarlo. “Non sono professionisti, questa è gente che vuole farsi notare”, confidava. Uno di questi spioni stava sul marciapiede, sempre nello stesso punto. Altri parlavano al telefonino in maniera sfacciata, ostentata, come se volessero far vedere che stava comunicando i suoi spostamenti. Adamo mi diceva: “Un vero poliziotto non farebbe mai un pedinamento così. O sono dilettanti o è gente che vuole proprio questo: farmi capire che sono pedinato”». Dunque, nei giorni precedenti al volo dal cavalcavia c’era qualcuno che voleva intimidire l’ex funzionario del commissariato di Castellammare. È stato questo qualcuno a spingere di sotto Bove? Non lo sapremo mai. L’unica certezza è che nell’aprile del 2008 il pm Giancarlo Novelli ha archiviato l’indagine sostenendo che Adamo Bove si è suicidato. Secondo il magistrato «non vi è alcuna evidenza probatoria a sostegno della tesi che Bove sia stato gettato da altri soggetti dal cavalcavia», anche perché nessun testimone ha riferito di aver visto qualcuno spingerlo di sotto.I suoi familiari continuano a credere che nonostante Adamo vivesse un periodo di malessere, è impossibile che abbia voluto cancellarlo con un volo di venti metri.
CRONACA, CULTURA
6 maggio 2018
Racconti: Adamo Bove, lo strano suicidio tra misteri e spie